mercoledì 18 gennaio 2012

Lo "scopo del movimento": ma che cos'è? una domanda di una mamma e la risposta della terapista.




Buongiorno,
le scrivo nella speranza di ottenere qualche consiglio mirato per il mio piccolo.
Riccardo ha quasi un anno ed è stato operato di idrocefalo a cinque mesi con la terzoventricolostomia, e a parte 15 giorni di irritabilità e sonnolenza a sette mesi, risoltisi da soli (la risonanza di controllo confermava il buon flusso del liquor attraverso la stomia) è stato sempre meglio da allora. E' leggermente ipotonico, non ha mai avuti cloni,e il capo lo controlla molto bene.A sette mesi e mezzo ha conquistato la posizione seduta autonoma, anche se aveva la tendenza a tuffarsi indietro. Adesso sta seduto benissimo, ma ancora non si muove, nè strisciando nè gattonando. Sta facendo psicomotricità da subito dopo l'operazione, due o tre volte alla settimana, ma non so se sia sufficiente. Leggevo che il problema nei bimbi con idrocefalo non è tanto il movimento in sè, quanto gli scopi del movimento. Tutti mi dicono di stimolarlo mettendo non troppo vicini i giochini per stimolarlo ad andarli a prendere, ma se non ci arriva da dov'e dopo qualche tentativo ci rinuncia. E' abbastanza interessanto ai giochi comunque da quando ha sette mesi, gli piacciono molto i libri da sfogliare e gli piace tirar fuori le cose da un contenitore, ma forse non gli interessano a sufficienza. La fisioterapista mi dice che il miglior modo è giocarci insieme, ma quale gioco sarebbe più adeguato per stimolarlo correttamente e far aumentare la motivazione? Il neuropsichiatra mi dice di portarlo al nido che si stimola con gli altri bimbi, ma la pediatra me lo sconsiglia per le malattie; alla fine non lo mando perchè se mi fa una settimana di nido e tre a casa con febbre e convalscenza faccio più danni che a non mandarlo.Il neurochirurgo mi dice di insistere con la posizione a pancia in giù, in quanto lui ha la tendanza ad appoggiare sempre la testa su un braccino per guardare piuttosto che alzarla (cosa che però fa se gli si impedisce di appoggiarsi lateralmente). Penso che inizierò anche un percorso di pet-teraphy proprio per aumentare la motivazione. Capisco che ogni bambino è diverso, ma se mi consigliasse qualche giochino sarebbe per me un ulteriore aiuto.
Grazie, mamma di Riccardo.

Colgo l'occasione di questa email per parlare di un aspetto importantissimo, misconosciuto e come in questo caso assolutamente frainteso come quello della MOTIVAZIONE. Tutti (medici, terapisti, ecc.) parlano di questa benedetta motivazione al movimento, dello scopo del movimento, di quanto è importante lo scopo del movimento, eccetera. 
Tuttavia, gli "esercizi" che vengono proposti sono assolutamente l'esatto contrario: lo scopo non esiste, il movimento è un movimento "per muoversi" e basta. 
Se studiamo un pò di psicologia dello sviluppo, sapremo che il bambino non impara a muoversi perchè gli oggetti sono lontani, o perchè viene messo a pancia in giù, perchè questi NON sono scopi del bambino, sono scopi dell'adulto. L'adulto mette il gioco a un metro e poi parte "dai! dai! prendilo!". Ovviamente il bambino fa due tentativi e poi molla: come sempre ha ragione lui, e vediamo perchè.

Il bambino impara a muoversi per scopi che sono scopi CONOSCITIVI, PERCETTIVI, e non per "fare" qualcosa. Il movimento del sistema Uomo, che come sappiamo è un sistema complesso, è definito una proprietà emergente, ovvero un comportamento che emerge dall'interazione tra il corpo e il mondo a scopo di conoscenza. Il bambino SI MUOVE PER SENTIRE, E NON PER MUOVERSI, si muove per CONOSCERE, E NON PER PRENDERE. La conoscenza dell'oggetto sul piano cinestesico, tattile, visivo, ecc. fa emergere comportamenti sempre più complessi in relazione a scopi conoscitivi sempre più variabili: se l'oggetto per me rimane solo qualcosa da mettere dentro e fuori un contenitore, e non percepisco alcuna differenza tra un oggetto morbido e uno liscio, tra uno grande e piccolo, tra uno che si schiaccia e uno duro, e così via, è ovvio che il movimento sarà molto grossolano perchè molto poco esplorativo e di conseguenza il comportamento "motorio" sarà povero. Ma il fatto che "non vada a prendere l'oggetto" non è il problema, ma solo quello che si vede, l'aspetto fenomenico di un problema che c'è "dietro". 
Se si vuole favorire un buon recupero è del tutto inutile metterlo a pancia in sotto, per fargli tirare su la testa: lui ha già assolto lo scopo conoscitivo (che è guardare, e non "tenere dritto il capo"!!!! al bambino di "tenere dritto il. capo" non glie ne può interessare di meno - a NESSUN bambino, non parlo dei bambini con difficoltà, parlo di TUTTI i bambini) stando appoggiato sulle braccia, "costringerlo a non appoggiarsi lateralmente" non solo non è utile, ma anzi è una richiesta (e NON un esercizio) che lo disorganizza, perchè non gli consente di guardare a lungo e con attenzione perchè per lui è troppo difficoltosa la posizione. Quindi, ovviamente come sempre, il problema è sempre nella richiesta che facciamo: siamo noi che sbagliamo, non è MAI il bambino. Ricordo sempre una delle più brave terapiste che ci siano, dire: E' la terapista che deve andare al livello del bambino, mai il contrario. Se il bambino è grave, la terapista "diventa grave". Questo per dire che se il bambino "non fa quello che gli chiediamo", semplicemente ABBIAMO SBAGLIATO LA RICHIESTA.

Ad un bambino sano non sarebbe mai richiesta una cosa simile: nessun bambino viene messo a pancia in giù "per favorire il controllo del capo", al massimo gli viene richiesto di guardare qualcosa, di interagire con oggetti e persone per percepire e sentire, di comprendere dei contesti. Queste sono richieste che favoriscono l'apprendimento e la creazione di scopi che modificano il comportamento, e NON "vai a prendere il giocattolo più in là".

Per sapere quali giochi nello specifico andrebbero bene per questo bambino e soprattutto COME FARLI ovviamente lo dovrei vedere, ma sicuramente eviterei il mettere dentro e fuori gli oggetti (il "risultato finale" che non permette l'esplorazione) e mi concentrerei su giochi con il corpo, giochi percettivi, sul sentire delle differenze tra i diversi oggetti, e via dicendo.
Il problema non è MAI "motorio", è sempre un problema di organizzazione del sistema, e questa organizzazione è in relazione agli scopi del bambino (che sono scopi conoscitivi) e non dell'adulto ("così sta dritto"). Bisogna sempre domandarsi: per chi è la riabilitazione?

la mamma chiede: ha una tetraparesi maggiore a sinistra, può suonare il violino?




Carissima,
sono una tua lettrice, in quanto madre di un bimbo più che tetraplegico, con doppia emiparesi, con prevalenza a sinistra e con prevalenza degli arti inferiori (gemello nato alla 26esima settimana, trasferito di ospedale perché non c'era posto...!!!!!).
Ora il bimbo, quasi quattro anni vuole suonare il violino.
Tu pensi sia utile o (come dice il suo terapista) ora non è ancora pronto, in quanto suonare uno strumento simile necessita di performaces e abilità che il bimbo ancora non ha e quindi potrebbe compromettere il suo quadro motorio.
Io credo che - non potendosi esprimere nell'attività fisisa - lo possa fare in un'arte, eccellere in qualcos'altro. Volevo un tuo parere essendo sempre molto interessata a quello che tu scrivi.
Thanks for answer.

Suonare uno strumento è sempre bello (io ho studiato canto per tanti anni, ho cantato e canto ancora, quindi lo so bene) o quantomeno piacevole, ma bisogna considerare alcuni aspetti. Ad una prima lettura molto superficiale della sua email, quando ho letto "vuole suonare il violino", ho pensato: questo bimbo è sicuramente più grave a sinistra. Mi sono accorta quindi che poche righe sopra lei lo aveva già scritto (ma io non l'avevo visto). Le dico questo perchè il problema della CONSAPEVOLEZZA nei bambini con lesione cerebrale destra o comunque più grave a destra è reale. Questo è un aspetto prevalente della patologia: le difficoltà di coerenza tra quello che "posso" fare e quello che "non posso - non riesco a fare" sono lo scoglio riabilitativo più grande per questi bambini (e così per gli adulti). Non è inconsueto chiedere ad un bimbo più compromesso a sinistra che non sta ancora seduto che cosa vorrebbe saper fare e sentirsi rispondere voglio giocare a calcio
Una risposta di questo tipo può essere interpretata sul piano psicologico (e secondo me è un grosso errore) o sul piano dei processi cognitivi: il bambino più compromesso a sinistra è in difficoltà quando si tratta di comprendere i passaggi che portano al risultato, più che il risultato stesso. Le difficoltà di ordine metacognitivo (cosa devo saper fare per...) danno origine a risposte come quella citata, o a richieste decisamente sovraprestazionali (voglio suonare il violino). La difficoltà è anche nell'immaginare ed aspettarsi qualcosa da quell'esperienza: è il bambino che da piccolo non si corregge mentre cade da seduto e si accorge di essere caduto solo quando è per terra,  ma l'errore è lo stesso, ovvero il rappresentarsi cosa mi devo aspettare di sentire.

Suonare il violino richiede una postura fortemente asimmetrica (per di più dovrebbe tenere con la sinistra lo strumento e nel contempo guardare a sinistra mentre muove singolarmente le dita), una capacità ALTISSIMA di frammentazione di ogni distretto corporeo (cosa che in un bambino "più che tetraparetico" come lo descrive lei, mi sembra improbabile) con un TOTALE controllo dell'ipertono. In pratica, dovrebbe essere sano. Ma non solo, non è solo il fatto di "poter" suonare il violino (potrebbe anche riuscire a tirar fuori qualcosa - dubito però che possa eccellere), il problema è COME: qualsiasi attività che sia anche leggermente sopra la capacità di prestazione di un bimbo con PCI e che quindi scateni la patologia (sicuramente anche solo tenere il violino causerà irradiazione - irrigidirà le dita dei piedi, o gli arti superiori, ecc.) non fa che strutturare gli schemi elementari patologici. Io mi trovo d'accordo con la sua terapista.

Certo che si può eccellere in qualcosa, non potendo eccellere in altro (ma questo è ciò che succede a tutti, non solo alle persone disabili), ma proporrei decisamente altro. il lavoro sul canto ad esempio potrebbe insegnargli come controllare il diaframma, una migliore respirazione, e via dicendo. Nei bambini con PCI bisogna lavorare SUL corpo e non "con" il corpo: Il corpo come strumento, e non il corpo come mezzo per arrivare allo strumento.