venerdì 18 dicembre 2009

il papà chiede: mia figlia è ipotonica, non insegue visivamente, non prende gli oggetti. Come la aiuto, se non la capisco?

Ciao mi chiamo massimo, ho una bimba di 11 mesi nata con parto cesareo alla 38 sett.
Alla nascita non ha avuto problemi, ma il pediatra ci disse che aveva una palatoschisi con sospetta sindrome di Pierre Robin, da li inizia il nostro calvario per 7 mesi abbiamo girato tutti i reparti ospedalieri della capitale, non mi dilungo di più.

In sintesi a oggi, e’ stata già operata al palato con successo ma soffre di ipotonia generale. Dall’indagini svolte fino a oggi non sappiamo di che patologia soffre la nostra bambina, attualmente Valentina non afferra gli oggetti e non segue il movimento con gli occhi non gattona e appena vocalizza, ci hanno detto a tre mesi di fargli fare terapia neuro psicomotoria.

abbiamo girato poche terapiste, con scarsi risultati, ti chiedo cortesemente come ci si comporta di fronte a una cosa che non capisco?

Grazie Massimo

Caro Massimo,
la domanda è molto pertinente: come mi devo comportare di fronte a qualcosa che non comprendo? Il primo passo è ovviamente capire. Al di là della diagnosi, che sicuramente è importante (avrà sicuramente fatto la risonanza magnetica, almeno alcune delle indagini genetiche possibili, e via dicendo) per escludere patologie degenerative o problemi genetici di un certo tipo, è importante capire quali sono realmente i problemi di Valentina, ma soprattutto cosa fare per aiutarla. Sicuramente ha delle difficoltà, ma è possibile costruire per lei degli esercizi e delle modalità che la coinvolgano e che la modifichino. Questo è possibile SEMPRE, ci tengo a sottolinearlo, al di là della diagnosi, al di là della gravità, al di là di quello che le hanno detto. Si può sempre fare qualcosa, stabilendo degli obiettivi precisi.
Per quanto riguarda l'ipotono può leggere questo post, dove parlo anche dei fattori che influenzano il recupero.

Parlando del sistema visivo "non segue gli oggetti" potrebbe essere vero, ma bisogna vedere in quali condizioni. Se non ha problemi alla corteccia visiva primaria (zona occipitale) o ai nervi ottici o all'occhio, la causa è la disorganizzazione (in entrambi i casi comunque, ci sono degli esercizi possibili). In pratica l'informazione visiva non viene analizzata, non viene elaborata, e quindi anche se ci sono tutti i presupposti, è come se non la vedesse. Gli esercizi per una situazione di questo tipo (che andrebbe valutata con attenzione: com'è la fissazione? in quali spazi? in quali posizioni? qual'è l'emilato dove riesce meglio? con quali tipi di target?), se le tavolette bianche e nere non sono sufficienti, sono esercizi in penombra con lucine soffuse posizionate dietro disegni fatti su carta velina (che si illumina e quindi cattura l'attenzione), inizialmente posti nello spazio frontale per favorire la fissazione, successivamente vanno spostati molto lentamente e la bambina va aiutata a stare attenta attraverso il linguaggio e se necessario attraverso facilitazioni manuali nella rotazione del capo. Bisognerà anche guidare inizialmente la bambina a scoprire il corpo, condurla nell'esplorazione dei piedini, delle mani, del viso, ecc. aiutandola sempre con il linguaggio.
Inoltre vanno fatti esercizi per favorire la coordinazione occhio-mano: esercizi con tavole e sussidi tridimensionali tattili cominciando dagli spazi dove è più facilitata: questo favorisce la costruzione di informazioni visive ma anche somestesiche che sono prerequisiti per il raggiungimento; canalizzano l'attenzione visiva che è prerequisito del controllo del capo e della stazione seduta. Allo stesso modo per la coordinazione occhio piede. Se la aiutiamo in questo modo, è sicuramente per lei più utile che allungarla o farla rotolare o metterle un pupazzetto davanti dicendo "dai dai dai prendilo prendilo prendilo" come se fosse un cane: se non prende gli oggetti non è "perchè non vuole" ma perchè non ce la fa, ha delle difficoltà e va aiutata. Ed il compito del terapista è proprio "aiutare": il suo ruolo è quello di mediatore dell'esperienza, e non quello di "far muovere". Provi a chiamarmi, vedo se posso aiutarla, ma credo proprio di sì.

l'amica della mamma chiede: ha 13 anni, una tetraparesi e dolori agli arti inferiori, cosa si può fare?

Buongiorno

Mi chiamo Debora e sono amica stretta di Eleonora. Lei ha un figlio di 13 anni affetto da tetra paresi spastica. E’ separata e quindi vive da sola con suo figlio. Come lei può immaginare ha girato e fatto l’impossibile. Io dall’esterno vedo sempre qs situazione con profonda sofferenza, nonostante cerchi sempre e solo di essere di sostegno a lei, perché se lei cede, non esiste terapia che tenga…

Non sto a descriverle i particolari, non ne sarei nemmeno in grado. Lei credo conosca già la malattia e tutte le difficoltà che ne conseguono. Eleonora ha trovato ora una buona terapista in una piscina a 25 km da casa sua. Lei infonde fiducia ad Alessio, e lui automaticamente riesce a fare cose che nemmeno si sarebbe pensato possibile. Tuttavia le problematiche si incrociano continuamente. Da qualche mese, settimana sì e settimana no lui è a casa da scuola a causa di disturbi intestinali che gli procurano vomito ed un po’ di dissenteria. Non ho assolutamente competenza in qs genere di cose, ma mi domando se questa sorta di disturbo possa avere un’origine psicologica. Eleonora da oggi ha intenzione di procedere con una serie di analisi, e non so perché, ma ho come la sensazione che non potranno rivelare una particolare patologia o virus. Alessio è continuamente sottoposto a farmaci, anche antidolorifici, ha fatto la terapia del dolore.
Lo so che i dati che le ho fornito sono davvero risicati, tuttavia le chiedevo se secondo lei è possibile che esista la possibilità di un malessere psicosomatico?
Di notte lui si sveglia spesso per i dolori muscolari e sua madre deve andare ad allungargli la gamba per farlo calmare.

La ringrazio di cuore
In bocca al lupo per il suo generoso lavoro
Saluti

Debora


Cara Signora,

non posso pronunciarmi se il malessere psicosomatico o meno, tutto può essere, ma di certo per poter fare diagnosi di problemi legati più alla sfera psichica bisogna sicuramente escludere patologie di altro tipo, quindi non vedo altre strade se non quella scelta dalla sua amica. Potrebbe anche essere, ma bisogna prima essere certi che non si tratti di una condizione fisiologica. Potrebbe essere colon irritabile (comunque legato anche all'aspetto psicologico, ma che va curato anche sul piano medico), o potrebbe essere altro: è giusto che si facciano comunque indagini.
Se il ragazzo mostra disagio (non so se parli o comunichi o quale sia il livello cognitivo) e ne fa richiesta, potrebbe comunque provare ad andare da uno psicologo specialista dell'handicap: l'adolescenza è un periodo difficile per tutti, a maggior ragione per un ragazzo con più difficoltà.

Per quanto riguarda il dolore, è sicuramente dovuto all'ipertono. Durante la notte il controllo corticale diciamo "volontario" -anche se non è il termine corretto- scende perchè andiamo in una situazione di incoscienza, per cui la patologia prende il sopravvento e l'irrigidimento causa dolore. mi è già capitata una bambina così, di notte diventava così rigida che la mamma non riusciva neanche a girarla. Di solito i medici consigliano farmaci miorilassanti (tipo Lioresal o simili), potete provarli ma hanno molti effetti collaterali oltre ad un'azione assolutamente generalizzata, per cui molto spesso diventa faticosissimo gestire anche i muscoli "utili", con un risultato piuttosto scadente. Le alternative "mediche" sono iniezioni di botox (mi sembra strano che a 13 anni nessuno glie le abbia mai proposte, di solito è la prima cosa che ad un medico viene in mente -purtroppo) o, se l'ipertono è davvero molto forte, l'impianto di una pompa al baclofen (altro farmaco, quindi valgono le stesse considerazioni del lioresal).
Io non so cosa faccia in piscina, ma qualsiasi attività dove venga richiesto movimento attivo, io la sconsiglierei, perchè aumenta l'irradiazione (vedi qui di che si tratta) e di conseguenza il tono. quello che a mio avviso potrebbe essere utile per il controllo del dolore è un lavoro sulla percezione di questi arti inferiori "sconosciuti". In sostanza dovrebbe fare una riabilitazione dove debba cominciare a porre attenzione a quello che sente in relazione a richieste tattili, cinestesiche, somestesiche, che gli riducano il tono SENZA ALLUNGAMENTI (che durano il tempo che durano, e basta) ma attraverso l'uso dei processi cognitivi necessari a risolvere il compito. al'inizio ci vorrà un bel pò di attenzione e sarà faticoso per lui, ma poi diventerà più semplice e non sarà più necessario il controllo corticale "volontario" per evitare il dolore, perchè dovrebbe diventare una condizione "standard". Questa bimba di cui le parlavo, su questo piano era migliorata e la notte era molto meno rigida.
ora, il problema è che è grandino, quindi sarebbe necessario un lavoro abbastanza intensivo per avere dei risultati. Mi chiami al telefono e provo a darle dei contatti.

la mamma chiede: ha smesso la lallazione, è possibile?

Buongiorno,

sono la mamma di A., un bel bimbone di 6 mesi e mezzo...e piu' di 10 kg!
La cosa che al momento mi lascia un po' perplessa e' che sembrava aver avviato la lallazione, per una settimana ha fatto dei bei discorsetti di bla bla bla, bababa e un paio di volte anche di mamama ....ora pero' da qualche giorno ha smesso...continua a vocalizzare e gorgheggiare, ma di lallazione neanche l'ombra...
Lui sta benissimo , e' un bimbo tranquillo, pacifico, non ha problemi di pappa o nanna, mangia e dorme che e' una meraviglia.
E' un bimbo sorridente e socializza volentieri con tutti, soprattutto con gli altri bimbi...e con lo specchio!!, non ha paura di nulla ed e' sempre a proprio agio.Tende le braccia per essere preso in braccio ( soprattutto con me ),sta seduto perfettamente da solo, sbilanciandosi solo rare volte se ruota su se stesso. La maggior parte delle volte risponde al suo nome girandosi ( a volte non si gira, se e' molto concentarto su cio' che sta facendo ), ha un buon contatto visivo, anche se a volte e' piu' affascintao dall'ambiente circostante e distoglie velocemente.E' un po' statico, forse dati i suoi 10 kg...e non ama stare a pancia in giu'...il gattonamento lo vedo lontanissimo....in compenso ama molto stare in piedi.
Gioca perfettamente con entrambe le manine ed e' in grado di tenere un oggetto in ognuna e passare un gioco da una manina all'altra. Inizia a fare ciao ciao con la manina....a volte a caso, a volte in risposta ad un mio gesto.
Quando era piccino mi dava da pensare il fatto che distogliesse lo sguardo velocemente e non sorridesse moltissimo ( io sono molto sorriedente, ma mi e' stato detto che mio marito non lo era per nulla da piccolo! ) e, su mia insistenza, e per farmi stare tranquilla, la pediatra mi ha proposto una visita con un NPI..così a 5 mesi mi e' stato detto che era un bimbo perfetto.
Ora pero' questa regressione del linguaggio mi fa di nuovo preoccupare un pochino....so che probabilmente e' un problema mio,mamma troppo apprensiva, pero' mi piacerebbe sapere se e' possibile che abbia momentaneamente accantonato la lallazione per dedicarsi allo sviluppo di altre competenze...
La ringrazio anticipatamente per il tempo che dedichera' a questa mia mail.

Le auguro buona serata
Manuela

Cara signora,
internet è uno strumento potentissimo ed utile, ma a volte può essere anche fonte di inutili preoccupazioni. Ora, io suo figlio non l'ho visto quindi non posso dirle se davvero c'è qualcosa che non va, ma Il fatto che "da qualche giorno" la lallazione sia diminuita di per sè non ha veramente alcun significato e, tanto per essere chiari, E NON VUOL DIRE CHE SUO FIGLIO SIA AUTISTICO! da quello che lei mi descrive mi sembra un bambino normalissimo, anche un pò precoce per la sua età. Inoltre, non è affatto detto che suo figlio debba gattonare, l'80% dei bambini sani non gattonano affatto. Quindi il mio consiglio è: a meno che non venga fuori qualcos'altro che debba davvero destare preoccupazioni (e non è assolutamente questo il caso), si goda il suo bambino e smetta di cercare sintomi su internet :)

martedì 15 dicembre 2009

la mamma di Flavio: ecco a cosa serve la riabilitazione.


 Sono davvero felice di ricevere, inaspettatamente, questa e-mail dalla mamma di un bimbo che ho seguito per circa due anni e mezzo (dai poco meno di 2 fino all'estate scorsa) e che ho "dovuto" lasciare purtroppo per questioni logistiche. la pubblico volentieri, perchè Io sono letteralmente innamorata dell'esserino meraviglioso che è il figlio di questa fortissima mamma e del suo papà che ama il jogging e guardare le partite degli All Blacks in TV (tanto che a tre anni Flavio faceva il l'Haka!). Una famiglia normalissima, con un figlio specialissimo. Lo scopo della terapia è proprio questo: comprendere il proprio figlio per aiutarlo.

La prossima volta che sento qualcuno che porta il suo bambino down a fare delle cose assurde per "aggiustargli la faccia e farlo diventare normale" (e giuro che non ne ho sentita una sola), gli dò l'indirizzo email di Patrizia. Chissà che non riesca a trasmettere anche a loro tutti quei sentimenti positivi che la sua famiglia ha trasmesso a me: grazie Patrizia, grazie Danilo e grazie Flavio.



Carissima Fabiana “Nana” ,
come stai? Leggo sempre con interesse il tuo blog e devo dire che spessissimo penso di chiamarti e non trovo mai un attimo …. Mi farebbe molto piacere rivederti e soprattutto farti rivedere Flavio! Sta crescendo molto bene e questo anche grazie a cio’ che tu hai fatto per lui e ai preziosi consigli che ci hai dato per aiutarlo nella sua crescita. Quello che mi sento di affermare con certezza e’ che il tuo approccio al “bambino” e non alla “patologia” e’ stato fondamentale anche per noi, per farci capire che nostro figlio non e’ soltanto “un bambino down” ma soprattutto un BAMBINO, con le sue innegabili difficolta’ , i suoi pregi, i suoi difetti e soprattutto le sue potenzialita’. E’ proprio su questo che stiamo puntando ultimamente, cercando di concentrarci sulle cose che gli riescono meglio per far aumentare la sua autostima. Con il linguaggio e’ ormai “un fiume in  piena”, nel senso che non sta zitto un’attimo, ripete tutte le parole che sente (non tutte in maniera comprensibile pero’….) e costruisce le frasi in maniera semplice ma efficace. Ha cominciato ad utilizzare gli articoli, il plurale, il maschile ed il femminile. Comunichiamo molto con le sue maestre per cercare di fare un lavoro “comune”, e devo dire che mi sento soddisfatta di come viene seguito in classe. Al momento a scuola stanno lavorando sulla socializzazione, stanno cercando di fare giochi e attivita’  in piccoli gruppi dove lui possa stare con gli altri bambini senza distrarsi troppo, cercando di aumentare i suoi tempi di attenzione (che sono ancora un po’ carenti). Hanno lavorato molto sull’integrazione cercando sempre di far fare a Flavio quello che fanno gli altri bambini, magari semplificandogli un po’ il compito o facendogli delle richieste piu’ semplici, ma SEMPRE insieme agli altri. Ha ancora parecchie difficolta’ con la motricita’ fine e le maestre lavorano su questo infatti ha imparato bene a tenere la matita o il pennello (adora “dipingere”) anche se i suoi disegni sono ancora degli scarabocchi …. E ovviamente anche a Flavio e’ richiesto di rispettare le regole, che sono anche piuttosto rigide,  di mangiare da solo, di rispettare gli altri bambini. Insomma, devo dire che i risultati si vedono e sono sempre piu’ convinta della teoria dei piccoli passi.
Quello che mi sento di dire agli altri genitori e’ di dare fiducia ai propri figli “speciali”, di rispettare i loro tempi senza pero’ “sedersi e aspettare”,  di cercare di abbandonare per sempre l’idea del figlio che avrebbero voluto avere, perche’ quel figlio non c’e’ ma c’e’ QUESTO figlio, che va amato, RISPETTATO e accettato per cio’ che e’ non per cio’ che avrebbe potuto essere. Ma questo non significa certo abbandonare le speranze di poter migliorare la sua condizione, anzi, bisogna lottare strenuamente contro quelli che dicono “tanto e’ cosi’…” o “questo non potra’ farlo mai….”  Bisogna seguire il proprio istinto e se una terapia non ci piace o non ci soddisfa bisogna avere il coraggio di cambiare e di cercare fin sulla luna qualcuno che possa aiutarci a tirar fuori il meglio da nostro figlio ... E vi dico per esperienza che probabilmente siete nel posto giusto!

Buon Natale Fabiana e spero a presto rivederci!

lunedì 14 dicembre 2009

la mamma chiede: ha problemi di linguaggio e dell'attenzione, come posso aiutarlo?

Salve Fabiana,
mi chiamo Annalisa, sono la mamma di Thomas, uno splendido bimbo che ha appena compiuto 4 anni. (...) Il problema è che non capendo “tecnicamente”le sue difficoltà non sappiamo come muoverci e ci sembra di perdere tempo prezioso!
Thomas è seguito da 9 mesi dall’equipe multidisciplinre della ns zona, ma finora, dopo tutti gli incontri e i test, non abbiamo avuto nemmeno una valutazione. Credo comunque che ci proporranno logopedia e psicomotricità (che ancora non abbiamo ben capito di cosa si tratti).
Intanto vorrei parlarLe di Thomas
Il mio bimbo ha 4 anni compiuti da pochi giorni. È un bambino fantastico (cuore di mamma!), dolce, sempre allegro, affettuoso.
Nato con cesareo a termine perchè podalico, non particolari avvenimenti in gravidanza, allattato fino ai 9 mesi, figlio unico.
Dalle 2-3 settimane di vita fino al 4 mese piangeva quasi ininterrottamente praticamente tutti i giorni, salvo poi dormire (distrutto!) di notte. Il pediatra mi ha detto che erano coliche, abbiamo provato con omeopatia e poi anche con il Milicon ma lui continuava; il tutto è svanito al quarto mese. Dopodichè sviluppo nella norma, seduto, gattonato, ha iniziato a camminare a 16 mesi. Lo abbiamo sempre considerato un bimbo un pò "pigro", e a volte "paurosetto" (odio dare queste etichette, ma è per cercare di rendere l'idea), in quanto è sempre stato restio a provare cose nuove, aveva spesso paura di "buttarsi", anche per camminare finchè non è stato sicurissimo di riuscire a farcela non è partito!
Per questi motivi, anche se dal confronto con altri bambini notavamo che era un passetto indietro non ci davamo peso, perchè ritenevamo che la mancanza di esperienze, dovute al suo opporsi alle novità, e che con il tempo si sarebbe risolto da sé.
Verso i 2 anni – 2 anni e mezzo l’opposizione alle novità si è fatta maggiore, ma non lo abbiamo forzato; continuavano a piacergli tutte le attività all’aria aperta (bici, scivolo, palla, camminare in equilibrio, lunghi giri in bicicletta e anche in auto), meno quelle “da interno”, inoltre non parlava anche se capiva quasi tutto ciò che gli dicevamo; dato che non ha avuto frequenti contatti con altri bambini, abbiamo pensato che con l’asilo si sarebbe “sbloccato”.
In effetti durante il  primo anno di asilo è cresciuto, ha iniziato a parlare, ha tolto il pannolino, ha imparato i primi rudimenti di un ambiente nuovo che non fosse quello di casa, e a stare con gli altri bambini. Ha fatto in un anno davvero dei passi da gigante, e, anche se sicuramente notiamo ancora delle differenze con la media degli altri bimbi, eravamo molto rassicurati dai progressi fatti.
Ora, al secondo anno di asilo, un po’ sorpresa mi giunge il giudizio delle insegnanti, che non lo trovano affatto migliorato, ma con molte difficoltà: non riesce a fare ginnastica, non vuole colorare, passa da un’attività all’altra, non vuole sottostare a determinate regole, non “riesce”  a condividere i giochi con i bimbi della sua età. Chiede spessissimo di andare in bagno pur di farsi un giretto…L’hanno giudicato “immaturo” rispetto alla sua età e sono preoccupate per l’inizio della scuola. Devo dire che va volentieri all’asilo, oltretutto è il “cocco” delle bidelle, che gli sono molto affezionate.
Anch’io, ovviamente, noto che presenta delle difficoltà, è vero che passa da un gioco all’altro, il suo livello di disegno si limita allo scarabocchio, non riconosce ancora i colori, a volte sembra non capirci (anche se succede rararamente) presenta delle difficoltà in determinate attività fisiche (es non esegue se gli dico: alza la gamba destra), non guarda i cartoni;  per il resto è abbastanza autonomo (sa togliersi e mettersi slip, pantaloni, calzini e scarpe, si lava le mani e i denti, mangia, ecc).
In realtà a casa lo troviamo abbastanza tranquillo (è anche vero che non abbiamo molti parametri di riferimento in quanto è il nostro unico figlio), non ci dà grossi problemi, pur avendo le difficoltà di cui sopra; crediamo che probabilmente cambi in un ambiente diverso.
Certamente deve fare un percorso di sviluppo e vogliamo capire come fare per aiutarlo; ci assalgono numerosi dubbi, del tipo “resterà così per sempre” con tutte le difficoltà che si ingigantiranno man mano che crescerà, oppure con una buona terapia (che però nella nostra regione non è disponibile a quanto pare) potrà raggiungere il “livello standard ”?? potevamo fare qualcosa prima, è vero che lo sviluppo si gioca per la maggior parte entro i 3 anni di vita? adesso come dobbiamo muoverci?
Le saremmo molto grati per un suo consiglio.
RingraziandoLa, cordiali saluti.
Annalisa

Tanto per cominciare, sfatiamo questo mito del cervello che si sviluppa solo fino ai tre anni: in primis, il lobo frontale, che è l'ultimo a svilupparsi, termina il suo sviluppo anatomico circa verso i 7 anni. Inoltre, l'apprendimento continua per tutta la vita, con modalità differenti: altrimenti non avremmo anziani che imparano ad usare il computer o bimbi con disabilità anche grandini che con una buona riabilitazione ottengono buoni risultati. Il problema di fondo è che se un bimbo ha problemi  specifici di attenzione,  avrà sicuramente qualche lacuna in alcune competenze (nel tuo caso nel linguaggio, nelle competenze grafiche, ecc.), e se non viene abituato a stare attento, le richieste che l'ambiente gli propone saranno sempre più complesse sul piano cognitivo e di conseguenza rimarrà indietro. 
Veniamo ai problemi: intanto il fatto che non capisca "alza la gamba destra" è normalissimo, la lateralizzazione completa e la comprensione dei concetti destra-sinistra nei bambini avviene intorno ai sei anni. più che altro sarebbe da vedere se capisce riferimenti allocentrici (es. metti il braccio verso la porta).
Tutti i restanti problemi (che si evidenziano maggiormente a scuola, dove il contesto è molto distraente) potrebbero essere riconducibili ad un problema attentivo di base: in ogni caso l'importante è capire effettivamente quali siano le sue lacune (cioè, in che ambiti e con quali specificità) e quali sono le modalità di richiesta adeguate per aiutarlo.
Intanto consiglio di utilizzare UN solo gioco per volta, anche a casa. Sicuramente nei giochi più strutturati va guidato a canalizzare l'attenzione, esplicitando al posto suo tutti i passaggi a mano a mano (es. ora prendiamo questo... poi dobbiamo metterlo in questa posizione... ora facciamo quest'altro). Normalmente un bambino di tre anni (ma anche più piccolo) "si racconta" quello che fa: mentre gioca si autoistruisce per aiutarsi, in una fase in cui il linguaggio interno (che ha funzione -tra l'altro- di canalizzare l'attenzione, la memoria, ecc.) non è ancora sviluppato. Con ogni probabilità il tuo bimbo ha difficoltà in questo, devi aiutarlo tu: esplicita le fasi di quello che fate insieme (giochi strutturati ovviamente). ogni tanto, prova a chiedere: e ora? cosa bisogna fare? oppure inserisci un elemento di variabilità: qualche volta, fai tu una cosa sbagliata facendo "la finta tonta". Utilizzare l'inganno (ovvero:ti faccio vedere che anche io posso sbagliare) è una "tecnica" utilissima per aiutare il bambino a prestare attenzione ai processi che portano al risultato e alla verifica dell'operato. Per i problemi specifici, non posso dirti molto purtroppo senza vederlo, ma quello che ti consiglio è: NON ASPETTARE. a sentire i centri "riabilitativi", è già passato quasi un anno in cui il bambino non ha fatto niente (il famigerato "è troppo presto"? così saranno ben soddisfatti quando potranno dire "è troppo tardi"? bah!). 
Il mio consiglio è intanto trovare qualcuno che sia in grado di capire quali sono le sue lacune specifiche (ma non con test quantitativi che non significano niente!!!) ma soprattutto quali modalità utilizzare per fargli delle richieste, anche a casa o a scuola, che  lo aiutino a canalizzare l'attenzione sui processi che non riesce ad attivare da solo. 
Per quanto riguarda le sue domande: il livello standard è un concetto quantitativo fatto passare più che altro dai medici, ed è fuorviante già di per sè! è un concetto enormemente fastidioso ed inutile: sappia signora che suo figlio potrà migliorare molto, moltissimo, magari recuperare tutto il suo gap, magari qualcosina potrebbe rimanere (l'ho già detto una volta: il tipo che ha inventato l'IKEA è un dislessico con problemi di memoria che usa post-it per ricordare qualsiasi cosa!) ma non lo classifichi per "livello"... l'importante è che sia in grado di gestirsi al meglio nella variabilità delle situazioni che gli si presenteranno.
Potevate fare qualcosa prima? Non è importante, pensate a cosa fare ADESSO. Trovate un professionista di cui vi fidate, che vi spieghi nel dettaglio quali sono i problemi di vostro figlio, che vi sappia consigliare delle modalità con cui fargli le richieste, e delle attività da fare a scuola che lo possano aiutare. Che sia in grado di parlare con le maestre del vostro bimbo e che non parli di lui solo come "quello che non sa fare", ma che lo rispetti  in quanto persona pensante; che sia propositivo e che cerchi soluzioni che non siano troppo semplicistiche (fategli ripetere la parola duecento volte!) ma neanche complicate: Thomas, come tutti gli esseri umani, è un essere complesso, che va "studiato", interpretato, capito ed aiutato. Sono le persone che lo circondano, che devono mettersi al suo livello, e non il contrario, se lo si vuole aiutare: allontanatevi da chi cerca di forzarlo a fare il contrario perchè, non essendo questo possibile, il risultato sarà fallimentare.
Comunque dalla sua descrizione non mi sembra niente di impossibile da trattare: cercate un bravo terapista o un pedagogista che abbia queste caratteristiche, ed il vostro bimbo andrà solo avanti.

venerdì 11 dicembre 2009

L'uso dei tutori nelle Paralisi Cerebrali Infantili

Mi è stato chiesto, attraverso il gruppo di Facebook, di esprimere la mia opinione relativamente all'uso dei tutori. Prima di cominciare però, ci tengo a precisare due cose:
a) quanto segue è la mia personale opinione, frutto degli studi miei e di chi prima di me già si occupava di riabilitazione neurocognitiva e neuroscienze, e della mia personale esperienza negli anni con i bambini con le più svariate disabilità. Io non sono "contro qualcosa" a prescindere: la mia opinione generale è frutto dei miei studi e della mia esperienza, ma questo non significa che in alcuni casi particolari (di cui comunque parlerò) io possa prendere in considerazione altri fattori.
b) quanto scrivo in questo caso si riferisce solo ed esclusivamente a patologie stabilizzate a carico del sistema nervoso centrale, quindi Paralisi Cerebrali Infantili e/o esiti di altre tipologie di lesione (comprese le lesioni acquisite degli adulti): non mi riferisco assolutamente a problematiche di tipo neuromuscolare come distrofie muscolari, amiotrofie spinali o altre tipologie di patologie degenerative dove il discorso è completamente differente.

Intanto cominciamo: cos'è un TUTORE?
un tutore è un'ortesi, ovverosia un dispositivo esterno con funzione di garantire una relativa immobilizzazione dell'articolazione colpita. In parole povere, serve a "mantenere" una parte del corpo in una determinata posizione. i tutori vengono utilizzati (poichè sono nati per questo) nel campo della traumatologia ortopedica, allo scopo di preservare l'articolazione dal sovraccarico post lesionale o post chirurgico causato dal movimento e di ridurre il dolore. 
L'uso alternativo e massiccio di queste ortesi nel campo della "riabilitazione" (la metto fra virgolette perchè di riabilitativo non c'è nulla, e tra poco spiegherò perchè) delle problematiche neurologiche viene ricondotto ad un semplice (e purtroppo semplicistico) principio: la funzione si crea per ripetizione. In sostanza l'idea è questa: se io faccio in modo che quella parte del corpo stia sempre nella posizione "x", il cervello si abituerà ed imparerà forzatamente che deve stare così, più o meno per lo stesso principio per cui a Leopardi, a forza di studiare chino sui libri, venne la gobba. 


Sarebbe davvero semplice, se fosse così. Peccato che nonostante praticamente a tutti i bambini con PCI vengano prescritti, con la motivazione di mantenere il piede a 90°/impedire la flessione delle ginocchia/impedire la lussazione dell'anca ed evitare le retrazioni, i tutori (ed è da notare che se le mamme o i papà obiettano, vengono pure colpevolizzati!), alla fine praticamente gli stessi tutti vengono operati di tenotomia (il famigerato "allungamento") degli achillei, dei flessori e/o degli adduttori. quindi, la funzione di evitare le retrazioni non è stata assolta manco per niente, visto che l'allungamento dei tendini si fa esclusivamente se c'è retrazione (ovvero accorciamento immodificabile del ventre muscolare). Cerchiamo di capire perchè.


il principio "se non riesci a stare dritto, ti ci metto io e alla fine ci starai", che è lo stesso del piano di statica, è fallimentare sotto tutti i punti di vista, perchè considera solo l'aspetto fenomenico del movimento, ovvero solo quello che si vede dall'esterno: un piede equino, un ginocchio flesso, una cifosi, un 'anca addotta e intrarotata. Sarebbe ben semplice se il movimento fosse riconducibile alla mera contrazione muscolare, per cui basterebbe un pò di ginnastica e avremmo risolto tutte le tetraparesi di questo mondo.
In realtà bisogna capire cos'è che causa l'equino, cosa causa la cifosi, cosa causa l'ipertono degli adduttori: il problema è sempre un problema percettivo
Come ho già spiegato in un post precedente sulla spasticità, questa non è che l'ultimo tassello di una serie di problematiche specifiche (diverse per ogni bambino ma con caratteristiche sicuramente comuni) che sono causa di essa, e non conseguenza. 

Prendiamo il caso più frequente: il bambino, con una tetraparesi, un'emiparesi o una diparesi, presenta equinismo del piede, ovvero piede equino (il che fa pensare a un cavallo, e rende la definizione già odiosa di per sé), in sostanza cammina in punta. Il fisiatra sostiene: mettiamogli un tutore corto (magari con l'aggiunta di iniezioni di botulino, altra mostruosità), così evitiamo le retrazioni e lo facciamo camminare con i piedi appoggiati.

Cosa succede? succede che vediamo il bambino che effettivamente appoggia il piede a terra: fenomenicamente abbiamo raggiunto il nostro scopo, il piede è a 90°. appena gli togliamo il tutore, il piede scatta come una molla e torna equino; a mano a mano che passa il tempo il piede, quando è fuori dal tutore, è sempre più equino, finchè infilargli il tutore o i tutori diventa una lotta impossibile. Si torna dal fisiatra, il quale manda il bambino dall'ortopedico che dice: è da operare, ma non si preoccupi signora, è un percorso standard, sono tutti così, è un intervento di venti minuti e vedrà che bel piede che avrà suo figlio! Si fa operare, si fanno allungamenti (stretching) per un tot di tempo, va tutto bene finchè non si rinizia da capo, comincia a tornare l'equino, fisiatra, tutore, ortopedico, intervento. ho visto bambini fare anche quattro volte lo stesso intervento (e di solito sono quelli che camminano, il perchè lo vedremo), finchè non c'era più nulla da tagliare. eppure questo percorso continua ad essere propinato come l'unico possibile, nonostante sia palesemente fallimentare, e in quei rari casi dove non è fallimentare è semplicemente perchè sarebbe andata bene comunque: migliorano quelli che sarebbero migliorati (e probabilmente di più) in ogni caso.



Dunque, facciamo allora un passo indietro: chiediamoci A COSA SERVE IL PIEDE?
se il piede servisse "per camminare", l'uso dei tutori sarebbe valido: il tuo piede "non cammina", quindi "lo faccio camminare io". Ma visto che è un percorso come abbiamo visto fallimentare, sarebbe opportuno andare più a fondo.


la funzione del piede non è quella di camminare ma:
a) percepire le differenti consistenze del terreno nelle diverse fasi (che si chiamano percentili) del passo;
b) percepire lo spostamento del carico dal percentile 0% (fase di approccio di tallone) fino al percentile 100% (fase di stacco di punta), passando per tutti i percentili intermedi in cui il carico si sposta dal bordo laterale al bordo mediale. 
Ovviamente tutto questo avviene in sinergia con il lavoro di anca e ginocchio: camminare sul marmo non è come camminare sulla sabbia, e ovviamente se il tallone in fase 0% percepisce un terreno di una certa consistenza, il ginocchio di conseguenza si "preparerà" a mantenere una certa flessione onde evitare traumi alla struttura o un cammino inadeguato al contesto percettivo.



vediamo quindi che le diverse parti del piede (tallone, bordo laterale, avampiede) sono differenziati per funzione percettiva sia sul piano tattile- di consistenza che per quanto riguarda gli spostamenti di carico, e la loro percezione comporta di conseguenza un adeguamento delle altre strutture nel corso del passo.


ora, teniamo presente che nel caso delle paralisi cerebrali sono proprio questi processi percettivi ad essere alterati, e di conseguenza compare il comportamento (inadeguato, ma l'unico che si riesce a costruire sul piano organizzativo) "piede equino": questo perchè la percezione tattile-cinestesica-di consistenza-di peso da parte del piede è completamente alterata. il cammino "in punta" è l'unica cosa che, con un'alterazione a quel livello, si riesce ad organizzare.

Sarebbe facile mettere un tutore e risolvere tutto, peccato che:


a) mettere il tutore equivale a deprivare ulteriormente di informazioni una zona che a causa di tale deprivazione si ritrova in quello stato. in pratica è come avere una gastrite da eccesso di farmaci e dare un antidolorifico (che è un altro farmaco!) per curare la gastrite. risultato= la gastrite peggiora.

b) fenomenicamente vediamo che il piede sta a 90°: in realtà, poichè neurologicamente lo schema è quello, e non abbiamo agito sul deficit percettivo che causa quello schema, il piede dentro il tutore, poichè trova un ostacolo, spinge di più. Ecco perchè portando il tutore vediamo come il piede peggiori sempre più, e alla fine si va per l'intervento come se fosse l'unica possibilità: aumenta l'irradiazione, aumenta la RAAS, in più l'attenzione (già poca) per quella parte del piede e per le sue percezioni scende a ZERO TOTALE, che peggiora ancor più la condizione di base.


Fatevene una ragione: il problema non è l'accrocco che mettete sul piede, è che vostro figlio, quel piede lì, non lo sente proprio. e se lo sente, la sua percezione non ha nulla a che vedere con la vostra, è completamente alterata.

Se così non fosse basterebbe (e qualcuno ancora lo fa, pensando che sia una questione di volontà) dire "abbassa i talloni! apri le gambe! stai dritto!".  Quante volte ho visto scene di questo tipo, con il terapista che urla e insiste, e la mamma che ci mette il carico da novanta (non per colpa sua, ma perchè "addestrata" a pensare che questa sia l'unica cosa da fare), ed il bambino che si corregge su controllo visivo (ovvero: guarda la parte del corpo e si corregge perchè la vede) per due nanosecondi e appena torna a guardare da un'altra parte, ecco che torna identico a prima (il problema è percettivo: se non guardo, non sento).

da una parte provo pena per questi bimbi che, indirettamente, vengono colpevolizzati (ma se bastasse dirlo, ci sarebbe bisogno di tutto il resto?!?!) dall'altra ho una gran rabbia per questi terapisti che continuano a fare i maestri di ginnastica pur avendo davanti non una persona che deve fare l'atleta, ma che ha dei problemi percettivi grossi come una casa, che nessuno si degna di trattare. 
Quindi non solo questi bambini non vengono aiutati, ma anzi, li si colpevolizza, poi gli si dà un accrocco che non solo non li cura, ma li "ammala", perchè aumenta il deficit percettivo, e infine visto che tutto non funziona neanche un pò, si fa un intervento, che in alcuni casi li traumatizza pure (mi ricordo una bimba con tetraparesi che a sei anni dall'intervento di allungamento, ancora piangeva a dirotto se la portavano da un medico o se le si parlava anche lontanamente di "chirurgia").



Andiamo avanti: cosa succede con l'intervento? succede che un piede già alterato viene alterato ancora di più, e la percezione diventa un groviglio di roba incomprensibile. Ora, il medico dice: ora dobbiamo aspettare che il cervello si abitui a questa nuova condizione. Peccato che non sempre "il cervello" si adatta da solo, perchè non è vero che "il cervello comanda, e il corpo risponde": l'unità mente corpo è qualcosa su cui siamo già da un bel pò di anni, ma i taglia-e-cuci non l'hanno ancora capito. 
Inoltre, se non si lavora sul problema percettivo, tempo tre anni e, soprattutto se si tratta di un bambino che cammina (perchè struttura lo schema aumentando l'irradiazione), il piede ricomincia ad andare in punta.



pensate voi a quante persone vengono operate per banali crociati anteriori o cuffie dei rotatori (interventi di chirurgia ortopedica): intervento perfetto, li rincontrate dopo 10 anni e ti dicono "oh, però a me ancora fa male...".  e loro non hanno una lesione cerebrale che altera DI BASE la percezione. 
è lo stesso principio: non basta staccare un pezzo, riaggiustarlo, riattaccarlo e pensare che è tutto a posto. a volte va tutto a posto. ma "sperare" che vostro figlio sia proprio tra quelli che "vanno a posto" da soli è quantomeno un salto nel vuoto, soprattutto se pensate che c'è una condizione di base (la lesione) che non lo aiuta affatto, in questo. 
il cervello apprende nuovi comportamenti motori solo ed esclusivamente attraverso l'attenzione specifica verso la percezione (pensate al bimbo piccolissimo che impara a muovere la mano con la guida tattile). e non basta dire "stai attento al piede", altrimenti lo ricominciamo da capo.

mettere un tutore non risolve il problema, ma nella maggior parte dei casi lo acuisce, visto che su un arto che già "non sente" è come mettere un gesso (ci riuscite, a sentire le cose, col gesso su una mano?).



Ora, questa è la mia opinione personale generale. ovviamente ci sono casi in cui gli interventi chirurgici sono necessari: quando ormai c'è retrazione, non c'è esercizio che tenga, ormai bisogna operare. però.

a) lavorando sull'attenzione specifica verso ipotesi percettive adeguate (e diverse per ogni bambino!), non dico tutti ma l'80% degli interventi potrebbero essere tranquillamente evitati: le retrazioni sono l'eccezione (che può capitare, per carità) e non la regola, se si lavora alla radice del problema (la percezione alterata e l'alterata capacità di porre attenzione alle informazioni che provengono dalle relazioni corpo-ambiente) e non solo sull'aspetto fenomenico ("sta in punta")

b) praticamente tutti gli interventi non avrebbero recidive, se si lavorasse PRIMA dell'intervento (almeno un anno prima!) e dopo l'intervento in modo intensivo sui problemi cinestesici, tattili, somestesici, di frammentazione, ecc.
c) l'utilizzo dei tutori e degli interventi chirurgici (che ricordo, non sono in nessun caso presidi riabilitativi, ma presidi medici!) dovrebbe essere riservato solo a casi particolari: 

-  bambini oltre una certa età -almeno oltre i 10 anni- dopo  aver tentato  una riabilitazione vera che duri anni (e non ginnastica, allungamenti, palloni, manovre, stiramenti, tutine e cazzate del genere!) in cui effettivamente l'utilizzo del tutore fa la differenza nella qualità di vita (della serie: le ho provate tutte, almeno con il tutore mi sta in piedi per un pò), e solo nei casi in cui ci sia un effettivo scopo nella stazione eretta (ci sono tutori mostruosi che tengono in piedi anche un morto, ma dubito che il morto ci voglia stare e che abbia un senso tenercelo!). è una enorme baggianata dire che i bambini "vanno tenuti in piedi perchè se no si lussano le anche": è l'esatto contrario, perchè mettere forzatamente in piedi un bambino che a livello organizzativo non è pronto, non fa che aumentare l'irradiazione per lo sforzo di mantenere la posizione, il che aumenta il tono degli adduttori, che di conseguenza fa uscire la testa del femore dall'acetabolo. risultato: le anche sono lussate. e cosa vi dicono? non lo ha messo abbastanza sulla statica. sembra paradossale ed assurdo? lo è, eppure è così che succede.


-  bambini in cui la deformità è tale da causare dolore o da impedire le azioni quotidiane (es. mettere le scarpe) devono assolutamente essere operati, ma è sicuro che con un lavoro di un certo tipo alla base l'esito dell'intervento sarà sicuramente più favorevole.

- bambini in cui c'è un impedimento meccanico legato ad un'eccessiva lassità (ad esempio piedi piatto-valghi molto gravi con cedimento dei legamenti) in cui però sia prospettabile la stazione eretta, vanno assolutamente sostenuti con scarpe adeguate e se necessario con tutori, e tenuti sotto controllo da un BRAVO chirurgo ortopedico (non uno di quelli "tagliamo di qua, tagliamo di là, attacchiamo questo, rincolliamo quell'altro...": scappate a gambe levate da questa gente!).


-  I bambini con patologie degenerative non vanno assolutamente compresi in quanto detto fino ad ora: ovviamente un bimbo con una SMA2 o con una distrofia muscolare va tenuto in piedi il più a lungo possibile e gli va garantita una qualità di vita più alta possibile per il tempo che la patologia consente. Stesso dicasi per altre patologie in cui bisogna guardare il qui e ora, perchè domani potrebbe essere tutto diverso. quello di cui ho parlato vale  solo per le lesioni e le condizioni statiche del bambino e dell'adulto.


Vorrei inoltre far presente una cosa che a nessuno sembra interessare, o che probabilmente sembra una parte marginale del problema e che invece ne rappresenta il "succo":  così come altri presidi, come i piani di statica, o come le degenze per gli interventi, i tutori costano. e costano pure tanto. Anche 20, 25 mila euro per un paio di tutori reciprocanti che camminano da soli anche senza ragazzino dentro: un sarcofago di mostruosità che nulla ha a che vedere con il cammino o con gli scopi del bimbo stesso.

il fatto che voi non li paghiate "perchè li paga la ASL", significa solo che li paghiamo tutti, con le tasse, tutti i giorni. Spacciare tutori a destra e a manca conviene a tutti, perchè fa guadagnare un sacco di gente. Non voglio entrare nei dettagli perchè non è il luogo adatto, ma fermatevi sempre e pensate: perchè a tutti i bambini con PCI vengono prescritti i tutori? perchè sono sempre più piccoli i bambini "tutorizzati"? perchè poi alla fine vengono quasi tutti operati? e soprattutto: 


...è possibile che non ci sia un'altra strada?