venerdì 18 dicembre 2009

il papà chiede: mia figlia è ipotonica, non insegue visivamente, non prende gli oggetti. Come la aiuto, se non la capisco?

Ciao mi chiamo massimo, ho una bimba di 11 mesi nata con parto cesareo alla 38 sett.
Alla nascita non ha avuto problemi, ma il pediatra ci disse che aveva una palatoschisi con sospetta sindrome di Pierre Robin, da li inizia il nostro calvario per 7 mesi abbiamo girato tutti i reparti ospedalieri della capitale, non mi dilungo di più.

In sintesi a oggi, e’ stata già operata al palato con successo ma soffre di ipotonia generale. Dall’indagini svolte fino a oggi non sappiamo di che patologia soffre la nostra bambina, attualmente Valentina non afferra gli oggetti e non segue il movimento con gli occhi non gattona e appena vocalizza, ci hanno detto a tre mesi di fargli fare terapia neuro psicomotoria.

abbiamo girato poche terapiste, con scarsi risultati, ti chiedo cortesemente come ci si comporta di fronte a una cosa che non capisco?

Grazie Massimo

Caro Massimo,
la domanda è molto pertinente: come mi devo comportare di fronte a qualcosa che non comprendo? Il primo passo è ovviamente capire. Al di là della diagnosi, che sicuramente è importante (avrà sicuramente fatto la risonanza magnetica, almeno alcune delle indagini genetiche possibili, e via dicendo) per escludere patologie degenerative o problemi genetici di un certo tipo, è importante capire quali sono realmente i problemi di Valentina, ma soprattutto cosa fare per aiutarla. Sicuramente ha delle difficoltà, ma è possibile costruire per lei degli esercizi e delle modalità che la coinvolgano e che la modifichino. Questo è possibile SEMPRE, ci tengo a sottolinearlo, al di là della diagnosi, al di là della gravità, al di là di quello che le hanno detto. Si può sempre fare qualcosa, stabilendo degli obiettivi precisi.
Per quanto riguarda l'ipotono può leggere questo post, dove parlo anche dei fattori che influenzano il recupero.

Parlando del sistema visivo "non segue gli oggetti" potrebbe essere vero, ma bisogna vedere in quali condizioni. Se non ha problemi alla corteccia visiva primaria (zona occipitale) o ai nervi ottici o all'occhio, la causa è la disorganizzazione (in entrambi i casi comunque, ci sono degli esercizi possibili). In pratica l'informazione visiva non viene analizzata, non viene elaborata, e quindi anche se ci sono tutti i presupposti, è come se non la vedesse. Gli esercizi per una situazione di questo tipo (che andrebbe valutata con attenzione: com'è la fissazione? in quali spazi? in quali posizioni? qual'è l'emilato dove riesce meglio? con quali tipi di target?), se le tavolette bianche e nere non sono sufficienti, sono esercizi in penombra con lucine soffuse posizionate dietro disegni fatti su carta velina (che si illumina e quindi cattura l'attenzione), inizialmente posti nello spazio frontale per favorire la fissazione, successivamente vanno spostati molto lentamente e la bambina va aiutata a stare attenta attraverso il linguaggio e se necessario attraverso facilitazioni manuali nella rotazione del capo. Bisognerà anche guidare inizialmente la bambina a scoprire il corpo, condurla nell'esplorazione dei piedini, delle mani, del viso, ecc. aiutandola sempre con il linguaggio.
Inoltre vanno fatti esercizi per favorire la coordinazione occhio-mano: esercizi con tavole e sussidi tridimensionali tattili cominciando dagli spazi dove è più facilitata: questo favorisce la costruzione di informazioni visive ma anche somestesiche che sono prerequisiti per il raggiungimento; canalizzano l'attenzione visiva che è prerequisito del controllo del capo e della stazione seduta. Allo stesso modo per la coordinazione occhio piede. Se la aiutiamo in questo modo, è sicuramente per lei più utile che allungarla o farla rotolare o metterle un pupazzetto davanti dicendo "dai dai dai prendilo prendilo prendilo" come se fosse un cane: se non prende gli oggetti non è "perchè non vuole" ma perchè non ce la fa, ha delle difficoltà e va aiutata. Ed il compito del terapista è proprio "aiutare": il suo ruolo è quello di mediatore dell'esperienza, e non quello di "far muovere". Provi a chiamarmi, vedo se posso aiutarla, ma credo proprio di sì.

l'amica della mamma chiede: ha 13 anni, una tetraparesi e dolori agli arti inferiori, cosa si può fare?

Buongiorno

Mi chiamo Debora e sono amica stretta di Eleonora. Lei ha un figlio di 13 anni affetto da tetra paresi spastica. E’ separata e quindi vive da sola con suo figlio. Come lei può immaginare ha girato e fatto l’impossibile. Io dall’esterno vedo sempre qs situazione con profonda sofferenza, nonostante cerchi sempre e solo di essere di sostegno a lei, perché se lei cede, non esiste terapia che tenga…

Non sto a descriverle i particolari, non ne sarei nemmeno in grado. Lei credo conosca già la malattia e tutte le difficoltà che ne conseguono. Eleonora ha trovato ora una buona terapista in una piscina a 25 km da casa sua. Lei infonde fiducia ad Alessio, e lui automaticamente riesce a fare cose che nemmeno si sarebbe pensato possibile. Tuttavia le problematiche si incrociano continuamente. Da qualche mese, settimana sì e settimana no lui è a casa da scuola a causa di disturbi intestinali che gli procurano vomito ed un po’ di dissenteria. Non ho assolutamente competenza in qs genere di cose, ma mi domando se questa sorta di disturbo possa avere un’origine psicologica. Eleonora da oggi ha intenzione di procedere con una serie di analisi, e non so perché, ma ho come la sensazione che non potranno rivelare una particolare patologia o virus. Alessio è continuamente sottoposto a farmaci, anche antidolorifici, ha fatto la terapia del dolore.
Lo so che i dati che le ho fornito sono davvero risicati, tuttavia le chiedevo se secondo lei è possibile che esista la possibilità di un malessere psicosomatico?
Di notte lui si sveglia spesso per i dolori muscolari e sua madre deve andare ad allungargli la gamba per farlo calmare.

La ringrazio di cuore
In bocca al lupo per il suo generoso lavoro
Saluti

Debora


Cara Signora,

non posso pronunciarmi se il malessere psicosomatico o meno, tutto può essere, ma di certo per poter fare diagnosi di problemi legati più alla sfera psichica bisogna sicuramente escludere patologie di altro tipo, quindi non vedo altre strade se non quella scelta dalla sua amica. Potrebbe anche essere, ma bisogna prima essere certi che non si tratti di una condizione fisiologica. Potrebbe essere colon irritabile (comunque legato anche all'aspetto psicologico, ma che va curato anche sul piano medico), o potrebbe essere altro: è giusto che si facciano comunque indagini.
Se il ragazzo mostra disagio (non so se parli o comunichi o quale sia il livello cognitivo) e ne fa richiesta, potrebbe comunque provare ad andare da uno psicologo specialista dell'handicap: l'adolescenza è un periodo difficile per tutti, a maggior ragione per un ragazzo con più difficoltà.

Per quanto riguarda il dolore, è sicuramente dovuto all'ipertono. Durante la notte il controllo corticale diciamo "volontario" -anche se non è il termine corretto- scende perchè andiamo in una situazione di incoscienza, per cui la patologia prende il sopravvento e l'irrigidimento causa dolore. mi è già capitata una bambina così, di notte diventava così rigida che la mamma non riusciva neanche a girarla. Di solito i medici consigliano farmaci miorilassanti (tipo Lioresal o simili), potete provarli ma hanno molti effetti collaterali oltre ad un'azione assolutamente generalizzata, per cui molto spesso diventa faticosissimo gestire anche i muscoli "utili", con un risultato piuttosto scadente. Le alternative "mediche" sono iniezioni di botox (mi sembra strano che a 13 anni nessuno glie le abbia mai proposte, di solito è la prima cosa che ad un medico viene in mente -purtroppo) o, se l'ipertono è davvero molto forte, l'impianto di una pompa al baclofen (altro farmaco, quindi valgono le stesse considerazioni del lioresal).
Io non so cosa faccia in piscina, ma qualsiasi attività dove venga richiesto movimento attivo, io la sconsiglierei, perchè aumenta l'irradiazione (vedi qui di che si tratta) e di conseguenza il tono. quello che a mio avviso potrebbe essere utile per il controllo del dolore è un lavoro sulla percezione di questi arti inferiori "sconosciuti". In sostanza dovrebbe fare una riabilitazione dove debba cominciare a porre attenzione a quello che sente in relazione a richieste tattili, cinestesiche, somestesiche, che gli riducano il tono SENZA ALLUNGAMENTI (che durano il tempo che durano, e basta) ma attraverso l'uso dei processi cognitivi necessari a risolvere il compito. al'inizio ci vorrà un bel pò di attenzione e sarà faticoso per lui, ma poi diventerà più semplice e non sarà più necessario il controllo corticale "volontario" per evitare il dolore, perchè dovrebbe diventare una condizione "standard". Questa bimba di cui le parlavo, su questo piano era migliorata e la notte era molto meno rigida.
ora, il problema è che è grandino, quindi sarebbe necessario un lavoro abbastanza intensivo per avere dei risultati. Mi chiami al telefono e provo a darle dei contatti.

la mamma chiede: ha smesso la lallazione, è possibile?

Buongiorno,

sono la mamma di A., un bel bimbone di 6 mesi e mezzo...e piu' di 10 kg!
La cosa che al momento mi lascia un po' perplessa e' che sembrava aver avviato la lallazione, per una settimana ha fatto dei bei discorsetti di bla bla bla, bababa e un paio di volte anche di mamama ....ora pero' da qualche giorno ha smesso...continua a vocalizzare e gorgheggiare, ma di lallazione neanche l'ombra...
Lui sta benissimo , e' un bimbo tranquillo, pacifico, non ha problemi di pappa o nanna, mangia e dorme che e' una meraviglia.
E' un bimbo sorridente e socializza volentieri con tutti, soprattutto con gli altri bimbi...e con lo specchio!!, non ha paura di nulla ed e' sempre a proprio agio.Tende le braccia per essere preso in braccio ( soprattutto con me ),sta seduto perfettamente da solo, sbilanciandosi solo rare volte se ruota su se stesso. La maggior parte delle volte risponde al suo nome girandosi ( a volte non si gira, se e' molto concentarto su cio' che sta facendo ), ha un buon contatto visivo, anche se a volte e' piu' affascintao dall'ambiente circostante e distoglie velocemente.E' un po' statico, forse dati i suoi 10 kg...e non ama stare a pancia in giu'...il gattonamento lo vedo lontanissimo....in compenso ama molto stare in piedi.
Gioca perfettamente con entrambe le manine ed e' in grado di tenere un oggetto in ognuna e passare un gioco da una manina all'altra. Inizia a fare ciao ciao con la manina....a volte a caso, a volte in risposta ad un mio gesto.
Quando era piccino mi dava da pensare il fatto che distogliesse lo sguardo velocemente e non sorridesse moltissimo ( io sono molto sorriedente, ma mi e' stato detto che mio marito non lo era per nulla da piccolo! ) e, su mia insistenza, e per farmi stare tranquilla, la pediatra mi ha proposto una visita con un NPI..così a 5 mesi mi e' stato detto che era un bimbo perfetto.
Ora pero' questa regressione del linguaggio mi fa di nuovo preoccupare un pochino....so che probabilmente e' un problema mio,mamma troppo apprensiva, pero' mi piacerebbe sapere se e' possibile che abbia momentaneamente accantonato la lallazione per dedicarsi allo sviluppo di altre competenze...
La ringrazio anticipatamente per il tempo che dedichera' a questa mia mail.

Le auguro buona serata
Manuela

Cara signora,
internet è uno strumento potentissimo ed utile, ma a volte può essere anche fonte di inutili preoccupazioni. Ora, io suo figlio non l'ho visto quindi non posso dirle se davvero c'è qualcosa che non va, ma Il fatto che "da qualche giorno" la lallazione sia diminuita di per sè non ha veramente alcun significato e, tanto per essere chiari, E NON VUOL DIRE CHE SUO FIGLIO SIA AUTISTICO! da quello che lei mi descrive mi sembra un bambino normalissimo, anche un pò precoce per la sua età. Inoltre, non è affatto detto che suo figlio debba gattonare, l'80% dei bambini sani non gattonano affatto. Quindi il mio consiglio è: a meno che non venga fuori qualcos'altro che debba davvero destare preoccupazioni (e non è assolutamente questo il caso), si goda il suo bambino e smetta di cercare sintomi su internet :)

martedì 15 dicembre 2009

la mamma di Flavio: ecco a cosa serve la riabilitazione.


 Sono davvero felice di ricevere, inaspettatamente, questa e-mail dalla mamma di un bimbo che ho seguito per circa due anni e mezzo (dai poco meno di 2 fino all'estate scorsa) e che ho "dovuto" lasciare purtroppo per questioni logistiche. la pubblico volentieri, perchè Io sono letteralmente innamorata dell'esserino meraviglioso che è il figlio di questa fortissima mamma e del suo papà che ama il jogging e guardare le partite degli All Blacks in TV (tanto che a tre anni Flavio faceva il l'Haka!). Una famiglia normalissima, con un figlio specialissimo. Lo scopo della terapia è proprio questo: comprendere il proprio figlio per aiutarlo.

La prossima volta che sento qualcuno che porta il suo bambino down a fare delle cose assurde per "aggiustargli la faccia e farlo diventare normale" (e giuro che non ne ho sentita una sola), gli dò l'indirizzo email di Patrizia. Chissà che non riesca a trasmettere anche a loro tutti quei sentimenti positivi che la sua famiglia ha trasmesso a me: grazie Patrizia, grazie Danilo e grazie Flavio.



Carissima Fabiana “Nana” ,
come stai? Leggo sempre con interesse il tuo blog e devo dire che spessissimo penso di chiamarti e non trovo mai un attimo …. Mi farebbe molto piacere rivederti e soprattutto farti rivedere Flavio! Sta crescendo molto bene e questo anche grazie a cio’ che tu hai fatto per lui e ai preziosi consigli che ci hai dato per aiutarlo nella sua crescita. Quello che mi sento di affermare con certezza e’ che il tuo approccio al “bambino” e non alla “patologia” e’ stato fondamentale anche per noi, per farci capire che nostro figlio non e’ soltanto “un bambino down” ma soprattutto un BAMBINO, con le sue innegabili difficolta’ , i suoi pregi, i suoi difetti e soprattutto le sue potenzialita’. E’ proprio su questo che stiamo puntando ultimamente, cercando di concentrarci sulle cose che gli riescono meglio per far aumentare la sua autostima. Con il linguaggio e’ ormai “un fiume in  piena”, nel senso che non sta zitto un’attimo, ripete tutte le parole che sente (non tutte in maniera comprensibile pero’….) e costruisce le frasi in maniera semplice ma efficace. Ha cominciato ad utilizzare gli articoli, il plurale, il maschile ed il femminile. Comunichiamo molto con le sue maestre per cercare di fare un lavoro “comune”, e devo dire che mi sento soddisfatta di come viene seguito in classe. Al momento a scuola stanno lavorando sulla socializzazione, stanno cercando di fare giochi e attivita’  in piccoli gruppi dove lui possa stare con gli altri bambini senza distrarsi troppo, cercando di aumentare i suoi tempi di attenzione (che sono ancora un po’ carenti). Hanno lavorato molto sull’integrazione cercando sempre di far fare a Flavio quello che fanno gli altri bambini, magari semplificandogli un po’ il compito o facendogli delle richieste piu’ semplici, ma SEMPRE insieme agli altri. Ha ancora parecchie difficolta’ con la motricita’ fine e le maestre lavorano su questo infatti ha imparato bene a tenere la matita o il pennello (adora “dipingere”) anche se i suoi disegni sono ancora degli scarabocchi …. E ovviamente anche a Flavio e’ richiesto di rispettare le regole, che sono anche piuttosto rigide,  di mangiare da solo, di rispettare gli altri bambini. Insomma, devo dire che i risultati si vedono e sono sempre piu’ convinta della teoria dei piccoli passi.
Quello che mi sento di dire agli altri genitori e’ di dare fiducia ai propri figli “speciali”, di rispettare i loro tempi senza pero’ “sedersi e aspettare”,  di cercare di abbandonare per sempre l’idea del figlio che avrebbero voluto avere, perche’ quel figlio non c’e’ ma c’e’ QUESTO figlio, che va amato, RISPETTATO e accettato per cio’ che e’ non per cio’ che avrebbe potuto essere. Ma questo non significa certo abbandonare le speranze di poter migliorare la sua condizione, anzi, bisogna lottare strenuamente contro quelli che dicono “tanto e’ cosi’…” o “questo non potra’ farlo mai….”  Bisogna seguire il proprio istinto e se una terapia non ci piace o non ci soddisfa bisogna avere il coraggio di cambiare e di cercare fin sulla luna qualcuno che possa aiutarci a tirar fuori il meglio da nostro figlio ... E vi dico per esperienza che probabilmente siete nel posto giusto!

Buon Natale Fabiana e spero a presto rivederci!

lunedì 14 dicembre 2009

la mamma chiede: ha problemi di linguaggio e dell'attenzione, come posso aiutarlo?

Salve Fabiana,
mi chiamo Annalisa, sono la mamma di Thomas, uno splendido bimbo che ha appena compiuto 4 anni. (...) Il problema è che non capendo “tecnicamente”le sue difficoltà non sappiamo come muoverci e ci sembra di perdere tempo prezioso!
Thomas è seguito da 9 mesi dall’equipe multidisciplinre della ns zona, ma finora, dopo tutti gli incontri e i test, non abbiamo avuto nemmeno una valutazione. Credo comunque che ci proporranno logopedia e psicomotricità (che ancora non abbiamo ben capito di cosa si tratti).
Intanto vorrei parlarLe di Thomas
Il mio bimbo ha 4 anni compiuti da pochi giorni. È un bambino fantastico (cuore di mamma!), dolce, sempre allegro, affettuoso.
Nato con cesareo a termine perchè podalico, non particolari avvenimenti in gravidanza, allattato fino ai 9 mesi, figlio unico.
Dalle 2-3 settimane di vita fino al 4 mese piangeva quasi ininterrottamente praticamente tutti i giorni, salvo poi dormire (distrutto!) di notte. Il pediatra mi ha detto che erano coliche, abbiamo provato con omeopatia e poi anche con il Milicon ma lui continuava; il tutto è svanito al quarto mese. Dopodichè sviluppo nella norma, seduto, gattonato, ha iniziato a camminare a 16 mesi. Lo abbiamo sempre considerato un bimbo un pò "pigro", e a volte "paurosetto" (odio dare queste etichette, ma è per cercare di rendere l'idea), in quanto è sempre stato restio a provare cose nuove, aveva spesso paura di "buttarsi", anche per camminare finchè non è stato sicurissimo di riuscire a farcela non è partito!
Per questi motivi, anche se dal confronto con altri bambini notavamo che era un passetto indietro non ci davamo peso, perchè ritenevamo che la mancanza di esperienze, dovute al suo opporsi alle novità, e che con il tempo si sarebbe risolto da sé.
Verso i 2 anni – 2 anni e mezzo l’opposizione alle novità si è fatta maggiore, ma non lo abbiamo forzato; continuavano a piacergli tutte le attività all’aria aperta (bici, scivolo, palla, camminare in equilibrio, lunghi giri in bicicletta e anche in auto), meno quelle “da interno”, inoltre non parlava anche se capiva quasi tutto ciò che gli dicevamo; dato che non ha avuto frequenti contatti con altri bambini, abbiamo pensato che con l’asilo si sarebbe “sbloccato”.
In effetti durante il  primo anno di asilo è cresciuto, ha iniziato a parlare, ha tolto il pannolino, ha imparato i primi rudimenti di un ambiente nuovo che non fosse quello di casa, e a stare con gli altri bambini. Ha fatto in un anno davvero dei passi da gigante, e, anche se sicuramente notiamo ancora delle differenze con la media degli altri bimbi, eravamo molto rassicurati dai progressi fatti.
Ora, al secondo anno di asilo, un po’ sorpresa mi giunge il giudizio delle insegnanti, che non lo trovano affatto migliorato, ma con molte difficoltà: non riesce a fare ginnastica, non vuole colorare, passa da un’attività all’altra, non vuole sottostare a determinate regole, non “riesce”  a condividere i giochi con i bimbi della sua età. Chiede spessissimo di andare in bagno pur di farsi un giretto…L’hanno giudicato “immaturo” rispetto alla sua età e sono preoccupate per l’inizio della scuola. Devo dire che va volentieri all’asilo, oltretutto è il “cocco” delle bidelle, che gli sono molto affezionate.
Anch’io, ovviamente, noto che presenta delle difficoltà, è vero che passa da un gioco all’altro, il suo livello di disegno si limita allo scarabocchio, non riconosce ancora i colori, a volte sembra non capirci (anche se succede rararamente) presenta delle difficoltà in determinate attività fisiche (es non esegue se gli dico: alza la gamba destra), non guarda i cartoni;  per il resto è abbastanza autonomo (sa togliersi e mettersi slip, pantaloni, calzini e scarpe, si lava le mani e i denti, mangia, ecc).
In realtà a casa lo troviamo abbastanza tranquillo (è anche vero che non abbiamo molti parametri di riferimento in quanto è il nostro unico figlio), non ci dà grossi problemi, pur avendo le difficoltà di cui sopra; crediamo che probabilmente cambi in un ambiente diverso.
Certamente deve fare un percorso di sviluppo e vogliamo capire come fare per aiutarlo; ci assalgono numerosi dubbi, del tipo “resterà così per sempre” con tutte le difficoltà che si ingigantiranno man mano che crescerà, oppure con una buona terapia (che però nella nostra regione non è disponibile a quanto pare) potrà raggiungere il “livello standard ”?? potevamo fare qualcosa prima, è vero che lo sviluppo si gioca per la maggior parte entro i 3 anni di vita? adesso come dobbiamo muoverci?
Le saremmo molto grati per un suo consiglio.
RingraziandoLa, cordiali saluti.
Annalisa

Tanto per cominciare, sfatiamo questo mito del cervello che si sviluppa solo fino ai tre anni: in primis, il lobo frontale, che è l'ultimo a svilupparsi, termina il suo sviluppo anatomico circa verso i 7 anni. Inoltre, l'apprendimento continua per tutta la vita, con modalità differenti: altrimenti non avremmo anziani che imparano ad usare il computer o bimbi con disabilità anche grandini che con una buona riabilitazione ottengono buoni risultati. Il problema di fondo è che se un bimbo ha problemi  specifici di attenzione,  avrà sicuramente qualche lacuna in alcune competenze (nel tuo caso nel linguaggio, nelle competenze grafiche, ecc.), e se non viene abituato a stare attento, le richieste che l'ambiente gli propone saranno sempre più complesse sul piano cognitivo e di conseguenza rimarrà indietro. 
Veniamo ai problemi: intanto il fatto che non capisca "alza la gamba destra" è normalissimo, la lateralizzazione completa e la comprensione dei concetti destra-sinistra nei bambini avviene intorno ai sei anni. più che altro sarebbe da vedere se capisce riferimenti allocentrici (es. metti il braccio verso la porta).
Tutti i restanti problemi (che si evidenziano maggiormente a scuola, dove il contesto è molto distraente) potrebbero essere riconducibili ad un problema attentivo di base: in ogni caso l'importante è capire effettivamente quali siano le sue lacune (cioè, in che ambiti e con quali specificità) e quali sono le modalità di richiesta adeguate per aiutarlo.
Intanto consiglio di utilizzare UN solo gioco per volta, anche a casa. Sicuramente nei giochi più strutturati va guidato a canalizzare l'attenzione, esplicitando al posto suo tutti i passaggi a mano a mano (es. ora prendiamo questo... poi dobbiamo metterlo in questa posizione... ora facciamo quest'altro). Normalmente un bambino di tre anni (ma anche più piccolo) "si racconta" quello che fa: mentre gioca si autoistruisce per aiutarsi, in una fase in cui il linguaggio interno (che ha funzione -tra l'altro- di canalizzare l'attenzione, la memoria, ecc.) non è ancora sviluppato. Con ogni probabilità il tuo bimbo ha difficoltà in questo, devi aiutarlo tu: esplicita le fasi di quello che fate insieme (giochi strutturati ovviamente). ogni tanto, prova a chiedere: e ora? cosa bisogna fare? oppure inserisci un elemento di variabilità: qualche volta, fai tu una cosa sbagliata facendo "la finta tonta". Utilizzare l'inganno (ovvero:ti faccio vedere che anche io posso sbagliare) è una "tecnica" utilissima per aiutare il bambino a prestare attenzione ai processi che portano al risultato e alla verifica dell'operato. Per i problemi specifici, non posso dirti molto purtroppo senza vederlo, ma quello che ti consiglio è: NON ASPETTARE. a sentire i centri "riabilitativi", è già passato quasi un anno in cui il bambino non ha fatto niente (il famigerato "è troppo presto"? così saranno ben soddisfatti quando potranno dire "è troppo tardi"? bah!). 
Il mio consiglio è intanto trovare qualcuno che sia in grado di capire quali sono le sue lacune specifiche (ma non con test quantitativi che non significano niente!!!) ma soprattutto quali modalità utilizzare per fargli delle richieste, anche a casa o a scuola, che  lo aiutino a canalizzare l'attenzione sui processi che non riesce ad attivare da solo. 
Per quanto riguarda le sue domande: il livello standard è un concetto quantitativo fatto passare più che altro dai medici, ed è fuorviante già di per sè! è un concetto enormemente fastidioso ed inutile: sappia signora che suo figlio potrà migliorare molto, moltissimo, magari recuperare tutto il suo gap, magari qualcosina potrebbe rimanere (l'ho già detto una volta: il tipo che ha inventato l'IKEA è un dislessico con problemi di memoria che usa post-it per ricordare qualsiasi cosa!) ma non lo classifichi per "livello"... l'importante è che sia in grado di gestirsi al meglio nella variabilità delle situazioni che gli si presenteranno.
Potevate fare qualcosa prima? Non è importante, pensate a cosa fare ADESSO. Trovate un professionista di cui vi fidate, che vi spieghi nel dettaglio quali sono i problemi di vostro figlio, che vi sappia consigliare delle modalità con cui fargli le richieste, e delle attività da fare a scuola che lo possano aiutare. Che sia in grado di parlare con le maestre del vostro bimbo e che non parli di lui solo come "quello che non sa fare", ma che lo rispetti  in quanto persona pensante; che sia propositivo e che cerchi soluzioni che non siano troppo semplicistiche (fategli ripetere la parola duecento volte!) ma neanche complicate: Thomas, come tutti gli esseri umani, è un essere complesso, che va "studiato", interpretato, capito ed aiutato. Sono le persone che lo circondano, che devono mettersi al suo livello, e non il contrario, se lo si vuole aiutare: allontanatevi da chi cerca di forzarlo a fare il contrario perchè, non essendo questo possibile, il risultato sarà fallimentare.
Comunque dalla sua descrizione non mi sembra niente di impossibile da trattare: cercate un bravo terapista o un pedagogista che abbia queste caratteristiche, ed il vostro bimbo andrà solo avanti.

venerdì 11 dicembre 2009

L'uso dei tutori nelle Paralisi Cerebrali Infantili

Mi è stato chiesto, attraverso il gruppo di Facebook, di esprimere la mia opinione relativamente all'uso dei tutori. Prima di cominciare però, ci tengo a precisare due cose:
a) quanto segue è la mia personale opinione, frutto degli studi miei e di chi prima di me già si occupava di riabilitazione neurocognitiva e neuroscienze, e della mia personale esperienza negli anni con i bambini con le più svariate disabilità. Io non sono "contro qualcosa" a prescindere: la mia opinione generale è frutto dei miei studi e della mia esperienza, ma questo non significa che in alcuni casi particolari (di cui comunque parlerò) io possa prendere in considerazione altri fattori.
b) quanto scrivo in questo caso si riferisce solo ed esclusivamente a patologie stabilizzate a carico del sistema nervoso centrale, quindi Paralisi Cerebrali Infantili e/o esiti di altre tipologie di lesione (comprese le lesioni acquisite degli adulti): non mi riferisco assolutamente a problematiche di tipo neuromuscolare come distrofie muscolari, amiotrofie spinali o altre tipologie di patologie degenerative dove il discorso è completamente differente.

Intanto cominciamo: cos'è un TUTORE?
un tutore è un'ortesi, ovverosia un dispositivo esterno con funzione di garantire una relativa immobilizzazione dell'articolazione colpita. In parole povere, serve a "mantenere" una parte del corpo in una determinata posizione. i tutori vengono utilizzati (poichè sono nati per questo) nel campo della traumatologia ortopedica, allo scopo di preservare l'articolazione dal sovraccarico post lesionale o post chirurgico causato dal movimento e di ridurre il dolore. 
L'uso alternativo e massiccio di queste ortesi nel campo della "riabilitazione" (la metto fra virgolette perchè di riabilitativo non c'è nulla, e tra poco spiegherò perchè) delle problematiche neurologiche viene ricondotto ad un semplice (e purtroppo semplicistico) principio: la funzione si crea per ripetizione. In sostanza l'idea è questa: se io faccio in modo che quella parte del corpo stia sempre nella posizione "x", il cervello si abituerà ed imparerà forzatamente che deve stare così, più o meno per lo stesso principio per cui a Leopardi, a forza di studiare chino sui libri, venne la gobba. 


Sarebbe davvero semplice, se fosse così. Peccato che nonostante praticamente a tutti i bambini con PCI vengano prescritti, con la motivazione di mantenere il piede a 90°/impedire la flessione delle ginocchia/impedire la lussazione dell'anca ed evitare le retrazioni, i tutori (ed è da notare che se le mamme o i papà obiettano, vengono pure colpevolizzati!), alla fine praticamente gli stessi tutti vengono operati di tenotomia (il famigerato "allungamento") degli achillei, dei flessori e/o degli adduttori. quindi, la funzione di evitare le retrazioni non è stata assolta manco per niente, visto che l'allungamento dei tendini si fa esclusivamente se c'è retrazione (ovvero accorciamento immodificabile del ventre muscolare). Cerchiamo di capire perchè.


il principio "se non riesci a stare dritto, ti ci metto io e alla fine ci starai", che è lo stesso del piano di statica, è fallimentare sotto tutti i punti di vista, perchè considera solo l'aspetto fenomenico del movimento, ovvero solo quello che si vede dall'esterno: un piede equino, un ginocchio flesso, una cifosi, un 'anca addotta e intrarotata. Sarebbe ben semplice se il movimento fosse riconducibile alla mera contrazione muscolare, per cui basterebbe un pò di ginnastica e avremmo risolto tutte le tetraparesi di questo mondo.
In realtà bisogna capire cos'è che causa l'equino, cosa causa la cifosi, cosa causa l'ipertono degli adduttori: il problema è sempre un problema percettivo
Come ho già spiegato in un post precedente sulla spasticità, questa non è che l'ultimo tassello di una serie di problematiche specifiche (diverse per ogni bambino ma con caratteristiche sicuramente comuni) che sono causa di essa, e non conseguenza. 

Prendiamo il caso più frequente: il bambino, con una tetraparesi, un'emiparesi o una diparesi, presenta equinismo del piede, ovvero piede equino (il che fa pensare a un cavallo, e rende la definizione già odiosa di per sé), in sostanza cammina in punta. Il fisiatra sostiene: mettiamogli un tutore corto (magari con l'aggiunta di iniezioni di botulino, altra mostruosità), così evitiamo le retrazioni e lo facciamo camminare con i piedi appoggiati.

Cosa succede? succede che vediamo il bambino che effettivamente appoggia il piede a terra: fenomenicamente abbiamo raggiunto il nostro scopo, il piede è a 90°. appena gli togliamo il tutore, il piede scatta come una molla e torna equino; a mano a mano che passa il tempo il piede, quando è fuori dal tutore, è sempre più equino, finchè infilargli il tutore o i tutori diventa una lotta impossibile. Si torna dal fisiatra, il quale manda il bambino dall'ortopedico che dice: è da operare, ma non si preoccupi signora, è un percorso standard, sono tutti così, è un intervento di venti minuti e vedrà che bel piede che avrà suo figlio! Si fa operare, si fanno allungamenti (stretching) per un tot di tempo, va tutto bene finchè non si rinizia da capo, comincia a tornare l'equino, fisiatra, tutore, ortopedico, intervento. ho visto bambini fare anche quattro volte lo stesso intervento (e di solito sono quelli che camminano, il perchè lo vedremo), finchè non c'era più nulla da tagliare. eppure questo percorso continua ad essere propinato come l'unico possibile, nonostante sia palesemente fallimentare, e in quei rari casi dove non è fallimentare è semplicemente perchè sarebbe andata bene comunque: migliorano quelli che sarebbero migliorati (e probabilmente di più) in ogni caso.



Dunque, facciamo allora un passo indietro: chiediamoci A COSA SERVE IL PIEDE?
se il piede servisse "per camminare", l'uso dei tutori sarebbe valido: il tuo piede "non cammina", quindi "lo faccio camminare io". Ma visto che è un percorso come abbiamo visto fallimentare, sarebbe opportuno andare più a fondo.


la funzione del piede non è quella di camminare ma:
a) percepire le differenti consistenze del terreno nelle diverse fasi (che si chiamano percentili) del passo;
b) percepire lo spostamento del carico dal percentile 0% (fase di approccio di tallone) fino al percentile 100% (fase di stacco di punta), passando per tutti i percentili intermedi in cui il carico si sposta dal bordo laterale al bordo mediale. 
Ovviamente tutto questo avviene in sinergia con il lavoro di anca e ginocchio: camminare sul marmo non è come camminare sulla sabbia, e ovviamente se il tallone in fase 0% percepisce un terreno di una certa consistenza, il ginocchio di conseguenza si "preparerà" a mantenere una certa flessione onde evitare traumi alla struttura o un cammino inadeguato al contesto percettivo.



vediamo quindi che le diverse parti del piede (tallone, bordo laterale, avampiede) sono differenziati per funzione percettiva sia sul piano tattile- di consistenza che per quanto riguarda gli spostamenti di carico, e la loro percezione comporta di conseguenza un adeguamento delle altre strutture nel corso del passo.


ora, teniamo presente che nel caso delle paralisi cerebrali sono proprio questi processi percettivi ad essere alterati, e di conseguenza compare il comportamento (inadeguato, ma l'unico che si riesce a costruire sul piano organizzativo) "piede equino": questo perchè la percezione tattile-cinestesica-di consistenza-di peso da parte del piede è completamente alterata. il cammino "in punta" è l'unica cosa che, con un'alterazione a quel livello, si riesce ad organizzare.

Sarebbe facile mettere un tutore e risolvere tutto, peccato che:


a) mettere il tutore equivale a deprivare ulteriormente di informazioni una zona che a causa di tale deprivazione si ritrova in quello stato. in pratica è come avere una gastrite da eccesso di farmaci e dare un antidolorifico (che è un altro farmaco!) per curare la gastrite. risultato= la gastrite peggiora.

b) fenomenicamente vediamo che il piede sta a 90°: in realtà, poichè neurologicamente lo schema è quello, e non abbiamo agito sul deficit percettivo che causa quello schema, il piede dentro il tutore, poichè trova un ostacolo, spinge di più. Ecco perchè portando il tutore vediamo come il piede peggiori sempre più, e alla fine si va per l'intervento come se fosse l'unica possibilità: aumenta l'irradiazione, aumenta la RAAS, in più l'attenzione (già poca) per quella parte del piede e per le sue percezioni scende a ZERO TOTALE, che peggiora ancor più la condizione di base.


Fatevene una ragione: il problema non è l'accrocco che mettete sul piede, è che vostro figlio, quel piede lì, non lo sente proprio. e se lo sente, la sua percezione non ha nulla a che vedere con la vostra, è completamente alterata.

Se così non fosse basterebbe (e qualcuno ancora lo fa, pensando che sia una questione di volontà) dire "abbassa i talloni! apri le gambe! stai dritto!".  Quante volte ho visto scene di questo tipo, con il terapista che urla e insiste, e la mamma che ci mette il carico da novanta (non per colpa sua, ma perchè "addestrata" a pensare che questa sia l'unica cosa da fare), ed il bambino che si corregge su controllo visivo (ovvero: guarda la parte del corpo e si corregge perchè la vede) per due nanosecondi e appena torna a guardare da un'altra parte, ecco che torna identico a prima (il problema è percettivo: se non guardo, non sento).

da una parte provo pena per questi bimbi che, indirettamente, vengono colpevolizzati (ma se bastasse dirlo, ci sarebbe bisogno di tutto il resto?!?!) dall'altra ho una gran rabbia per questi terapisti che continuano a fare i maestri di ginnastica pur avendo davanti non una persona che deve fare l'atleta, ma che ha dei problemi percettivi grossi come una casa, che nessuno si degna di trattare. 
Quindi non solo questi bambini non vengono aiutati, ma anzi, li si colpevolizza, poi gli si dà un accrocco che non solo non li cura, ma li "ammala", perchè aumenta il deficit percettivo, e infine visto che tutto non funziona neanche un pò, si fa un intervento, che in alcuni casi li traumatizza pure (mi ricordo una bimba con tetraparesi che a sei anni dall'intervento di allungamento, ancora piangeva a dirotto se la portavano da un medico o se le si parlava anche lontanamente di "chirurgia").



Andiamo avanti: cosa succede con l'intervento? succede che un piede già alterato viene alterato ancora di più, e la percezione diventa un groviglio di roba incomprensibile. Ora, il medico dice: ora dobbiamo aspettare che il cervello si abitui a questa nuova condizione. Peccato che non sempre "il cervello" si adatta da solo, perchè non è vero che "il cervello comanda, e il corpo risponde": l'unità mente corpo è qualcosa su cui siamo già da un bel pò di anni, ma i taglia-e-cuci non l'hanno ancora capito. 
Inoltre, se non si lavora sul problema percettivo, tempo tre anni e, soprattutto se si tratta di un bambino che cammina (perchè struttura lo schema aumentando l'irradiazione), il piede ricomincia ad andare in punta.



pensate voi a quante persone vengono operate per banali crociati anteriori o cuffie dei rotatori (interventi di chirurgia ortopedica): intervento perfetto, li rincontrate dopo 10 anni e ti dicono "oh, però a me ancora fa male...".  e loro non hanno una lesione cerebrale che altera DI BASE la percezione. 
è lo stesso principio: non basta staccare un pezzo, riaggiustarlo, riattaccarlo e pensare che è tutto a posto. a volte va tutto a posto. ma "sperare" che vostro figlio sia proprio tra quelli che "vanno a posto" da soli è quantomeno un salto nel vuoto, soprattutto se pensate che c'è una condizione di base (la lesione) che non lo aiuta affatto, in questo. 
il cervello apprende nuovi comportamenti motori solo ed esclusivamente attraverso l'attenzione specifica verso la percezione (pensate al bimbo piccolissimo che impara a muovere la mano con la guida tattile). e non basta dire "stai attento al piede", altrimenti lo ricominciamo da capo.

mettere un tutore non risolve il problema, ma nella maggior parte dei casi lo acuisce, visto che su un arto che già "non sente" è come mettere un gesso (ci riuscite, a sentire le cose, col gesso su una mano?).



Ora, questa è la mia opinione personale generale. ovviamente ci sono casi in cui gli interventi chirurgici sono necessari: quando ormai c'è retrazione, non c'è esercizio che tenga, ormai bisogna operare. però.

a) lavorando sull'attenzione specifica verso ipotesi percettive adeguate (e diverse per ogni bambino!), non dico tutti ma l'80% degli interventi potrebbero essere tranquillamente evitati: le retrazioni sono l'eccezione (che può capitare, per carità) e non la regola, se si lavora alla radice del problema (la percezione alterata e l'alterata capacità di porre attenzione alle informazioni che provengono dalle relazioni corpo-ambiente) e non solo sull'aspetto fenomenico ("sta in punta")

b) praticamente tutti gli interventi non avrebbero recidive, se si lavorasse PRIMA dell'intervento (almeno un anno prima!) e dopo l'intervento in modo intensivo sui problemi cinestesici, tattili, somestesici, di frammentazione, ecc.
c) l'utilizzo dei tutori e degli interventi chirurgici (che ricordo, non sono in nessun caso presidi riabilitativi, ma presidi medici!) dovrebbe essere riservato solo a casi particolari: 

-  bambini oltre una certa età -almeno oltre i 10 anni- dopo  aver tentato  una riabilitazione vera che duri anni (e non ginnastica, allungamenti, palloni, manovre, stiramenti, tutine e cazzate del genere!) in cui effettivamente l'utilizzo del tutore fa la differenza nella qualità di vita (della serie: le ho provate tutte, almeno con il tutore mi sta in piedi per un pò), e solo nei casi in cui ci sia un effettivo scopo nella stazione eretta (ci sono tutori mostruosi che tengono in piedi anche un morto, ma dubito che il morto ci voglia stare e che abbia un senso tenercelo!). è una enorme baggianata dire che i bambini "vanno tenuti in piedi perchè se no si lussano le anche": è l'esatto contrario, perchè mettere forzatamente in piedi un bambino che a livello organizzativo non è pronto, non fa che aumentare l'irradiazione per lo sforzo di mantenere la posizione, il che aumenta il tono degli adduttori, che di conseguenza fa uscire la testa del femore dall'acetabolo. risultato: le anche sono lussate. e cosa vi dicono? non lo ha messo abbastanza sulla statica. sembra paradossale ed assurdo? lo è, eppure è così che succede.


-  bambini in cui la deformità è tale da causare dolore o da impedire le azioni quotidiane (es. mettere le scarpe) devono assolutamente essere operati, ma è sicuro che con un lavoro di un certo tipo alla base l'esito dell'intervento sarà sicuramente più favorevole.

- bambini in cui c'è un impedimento meccanico legato ad un'eccessiva lassità (ad esempio piedi piatto-valghi molto gravi con cedimento dei legamenti) in cui però sia prospettabile la stazione eretta, vanno assolutamente sostenuti con scarpe adeguate e se necessario con tutori, e tenuti sotto controllo da un BRAVO chirurgo ortopedico (non uno di quelli "tagliamo di qua, tagliamo di là, attacchiamo questo, rincolliamo quell'altro...": scappate a gambe levate da questa gente!).


-  I bambini con patologie degenerative non vanno assolutamente compresi in quanto detto fino ad ora: ovviamente un bimbo con una SMA2 o con una distrofia muscolare va tenuto in piedi il più a lungo possibile e gli va garantita una qualità di vita più alta possibile per il tempo che la patologia consente. Stesso dicasi per altre patologie in cui bisogna guardare il qui e ora, perchè domani potrebbe essere tutto diverso. quello di cui ho parlato vale  solo per le lesioni e le condizioni statiche del bambino e dell'adulto.


Vorrei inoltre far presente una cosa che a nessuno sembra interessare, o che probabilmente sembra una parte marginale del problema e che invece ne rappresenta il "succo":  così come altri presidi, come i piani di statica, o come le degenze per gli interventi, i tutori costano. e costano pure tanto. Anche 20, 25 mila euro per un paio di tutori reciprocanti che camminano da soli anche senza ragazzino dentro: un sarcofago di mostruosità che nulla ha a che vedere con il cammino o con gli scopi del bimbo stesso.

il fatto che voi non li paghiate "perchè li paga la ASL", significa solo che li paghiamo tutti, con le tasse, tutti i giorni. Spacciare tutori a destra e a manca conviene a tutti, perchè fa guadagnare un sacco di gente. Non voglio entrare nei dettagli perchè non è il luogo adatto, ma fermatevi sempre e pensate: perchè a tutti i bambini con PCI vengono prescritti i tutori? perchè sono sempre più piccoli i bambini "tutorizzati"? perchè poi alla fine vengono quasi tutti operati? e soprattutto: 


...è possibile che non ci sia un'altra strada?



sabato 21 novembre 2009

la mamma chiede: a 2 anni e mezzo ritardo psicomotorio da cardiopatia pregressa, come aiutarla?

Getilissima Fabiana,
innanzitutto intendo ringraziarti per la grande disponibilità e cortesia che dimostri!
Sono la mamma di Alessia di 2 anni e mezzo.
La mia bambina ha avuto problemi fin dalla fase prenatale:
Embrione con arteria ombelicale singola; Stenosi alla valvola polmonare con forame ovale pelvio.
Fin dalla nascita è stata seguita in Cardiologia pediatrica, si aspettava che aumentasse di peso per potr eseguire l'inervento di valvuloplastica.
Purtroppo non riuscì ad arrivare agli agognati 5 Kg di peso e a soli 40 giorni (pesava 4,200 kg) fu sottoposta a valvuloplastica in emodinamica per rimediare il problema della stenosi.
Anestesia totale di più di 3 ore.
l'anestesista rilevò anche l'attaccamento del frenulo linguale, che consigliò di risolvere al più presto perchè le avrebbe comportato problemi di linguaggio e deglutizione. Fatto sta che dopo una decina di giorni la riportiamo in ospedale e le viene reciso il frenulo linguale (anestesia di una decina di minuti).

Il problema cardiaco è sotto controllo presso il Monaldi di Napoli.

Alessia presenta note di ritardo psico-motorio.

Non ha mai gattonato, ha iniziato a camminare a 18 mesi e tuttora conserva un passo incerto e movimenti non fluidi.

L'ha visitata un professore-primario in ortopedia pediatrica le ha rilevato ginocchio e retropiede valgo e piede piatto, pertanto le ha prescritto scarpe correttive per evitare di peggiorare la situazione.

Gli ho spiegato che ancora la bambina non riesce ad alzarsi da sola ed ad essere autonoma nei movimenti, ma lui mi ha assicurato che presto lo farà e non mi ha consigliato fisioterapia.

Alessia è ferma ancora alla lallazione e non parla (sono esclusi problemi alla vista e all'udito), anche se obbedisce a semplici comandi e quando vuole qualcosa si fa capire bene! I medici dicono che il suo gap si sta man mano colmando e che presto parlerà, ma io sono preoccupata lo stesso! Le faccio fare esercizi di stimolo al linguaggio, ma mi sento stanca! Vorrei finalmente godermi la mia bambina e vederla NORMALE!

Ti ho voluto dare un quadro della situazione, per chiederti: dalla tua esperienza come ti sembra la bambina che ti ho descritto?
Esistono esercizi per correggere la rigidità dei movimenti del corpo e renderli più fluidi? Ce ne è qualcuno che potrei farle fare io da casa? (considera che lei ODIA i dottori, forse perchè ne ha visti troppi da quando è nata!)

Scusa per lo sfogo e GRAZIE ancora







Ci sono molte cose da dire, quindi proverò ad essere abbastanza chiara e più succinta possibile. Il fatto che la bimba abbia un ritardo psicomotorio rientra quasi nella normalità, per il tipo di patologia che ha avuto: l'ospedalizzazione, gli interventi, e via dicendo, sicuramente non hanno favorito uno sviluppo "in linea" con l'età. E' vero che il gap si sta colmando (la bambina cresce, e ovviamente migliora), ma non sono d'accordo sul non farle fare nulla. Il problema è che se la lasciamo "indietro", a mano a mano il gap sarà più evidente perchè le richieste, per cui magari lei potrebbe avere difficoltà, aumenteranno in termini di complessità a mano a mano che cresce. Aiutandola a colmare le sue attuali lacune, sarà molto più semplice per lei procedere più avanti. allo stesso modo con i coetanei. In sostanza: con ogni probabilità migliorerà anche da sola, ma visto che non si tratta di un ritardo grave, perchè non aiutarla?

il fatto che non abbia gattonato non ha alcuna importanza, come già ho spiegato in alcuni post precedenti, il gattonamento non è assolutamente una tappa obbligatoria (tant'è che la bambina cammina già, seppur con qualche difficoltà) e non è indicativa di nulla. quella che tu chiami "rigidità", visto che la bimba non ha paresi (almeno da quello che mi dici) probabilmente è una difficoltà nella frammentazione dei movimenti, ovvero la bambina non riesce a svincolare le superfici esploranti (mani, arti superiori, piedi, arti inferiori) nel cammino e "muove un pò tutto in blocco". si tratta, più che di un comportamento palesemente patologico, di un ritardo (i bambini quando iniziano a camminare camminano così, frammentando molto poco e muovendosi in modo poco fluido), quindi è come se la bimba sia tutta un pò indietro. Ho avuto in trattamento per un annetto una bimba cardiopatica (la sua cardiopatia era veramente molto complessa, ed era stata operata con un prolungato allettamento in posizione supina) con un ritardo psicomotorio, ed era esattamente così. Io fossi in te proverei a farle fare un pò di terapia (se mi dici dove sei posso vedere se conosco qualcuno valido dalle tue parti), anche perchè visto che sappiamo che la bimba ha comunque avuto una patologia, perchè stare ad aspettare? Il linguaggio va stimolato con determinate richieste: dovrei vederla per dirti quali nello specifico e valutare i prerequisiti del linguaggio, ad esempio la bambina indica? guarda l'oggetto che indichi? guarda dove guardi tu senza che nomini l'oggetto? è in grado di mantenere l'attenzione per un tempo abbastanza prolungato su un'attività? se la risposta a tutte queste domande è "si", andrà valutata la comprensione del linguaggio per richieste contestuali, e si procede poi con la costruzione di un piano di trattamento che però non costituisce assolutamente una serie di esercizi strutturati di ripetizione di sillabe, parole o suoni, ma una serie di modalità interattive e di richieste per aiutare la bimba ad interrogarsi sui diversi contesti.

il fatto che odi i dottori è perfettamente normale (la bimba di cui sopra, per mesi appena vedeva un camice cominciava ad urlare disperata), proprio per questo ti sconsiglio caldamente di portarla da qualcuno che faccia terapia di tipo tradizionale o all'interno di una struttura ospedaliera che sia "palesemente un'ospedale": ti assicuro che è possibile trattare i bambini senza crear loro ulteriori traumi, ma anzi facendogli capire che si è lì non per nuocere ma per aiutare, con un atteggiamento adeguato ed un approccio idoneo. Sicuramente ci sono delle cose che potresti fare tu a casa, che però come ti dicevo sono ben lontane dagli "esercizi" come vengono normalmente intesi, questo è sicuro, ma per dirti esattamente con che modalità aiutarla, dovrei vedere come si comporta la tua bimba.


solo un appunto: GODITI LA TUA BAMBINA ADESSO, solo perchè è lei, il concetto di normalità è un concetto assurdo. Goditela perchè è un essere meraviglioso, perchè è tua figlia, e non attendere che "sia normale", perchè probabilmente, esattamente come me, come te, come tutte le persone che conosco, non diventerà mai "normale", se per normale intendi "come vuoi tu", perchè ognuno è diverso, ha i suoi tempi ed i suoi percorsi. Il tuo compito è accompagnarla fin dove puoi, poi proseguirà comunque da sola, esattamente come per un bambino senza problemi. ti sentiresti "stanca" a giocare con un bimbo senza nessun problema, ad interagire con lui, a fargli conoscere le cose? per lei deve essere allo stesso modo: quelle modalità che normalmente attueresti con un bimbo del suo livello, sono proprio quelle che la fanno progredire.

é meraviglioso che la cardiopatia sia sotto controllo e che lei stia bene: il resto è un percorso in cui lo scopo è far diventare lei la persona più felice possibile. è molto difficile per un genitore accettare che il proprio bimbo reale non corrisponda con quello immaginato, ma ti dico per esperienza personale che se riesci a distaccarti dal "me la godrò quando sarà normale", probabilmente il suo personale percorso a quel punto sarà tutto in discesa, perchè le tue scelte (riabilitative, emotive, personali) saranno tutte volte al cercare di circondarti di persone che vedano la tua bimba per quello che è, e che vogliono tirar fuori il meglio di lei, e non "una bambina perfetta", che non corrisponde alle sue reali necessità e bisogni conoscitivi. A quel punto i miglioramenti saranno molto più evidenti, sia sul piano qualitativo che quantitativo.

Il rischio altrimenti è far diventare la vita un'angoscia continua (con ripercussioni anche sulla bimba), correndo da un posto all'altro finchè non si trova qualcuno che dica "te la metto a posto io!", magari con approcci palesemente assurdi o addirittura nocivi con la scusa del "è per il suo bene". Leggi a questo proposito questa lettera e quest'altra: la situazione di questa famiglia è ben diversa dalla tua, ma spiega bene cosa deve significare il percorso riabilitativo per una famiglia e per il bambino.

mercoledì 4 novembre 2009

lo studente chiede: la tesi di laurea su botox, ortesi e CIT. e gli esercizi?

Ciao...ho letto poco fa il tuo blog e mi è piaciuto molto...volevo solo sapere se potevi essermi d'aiuto,ti spiego:sn uno studente in Fisioterapia ke sta x laurearsi..sto facendo una tesi sulla maipolazione nel bambino emiplegico...adesso mi trovo al capitolo dei trattamenti...ho pensato di evitare di inserire metodiche..per evitare di fare discussioni in sede di laurea(perkè c'è sempre ki appoggia una metodica piuttosto ke un'altra ecc.).quindi mi sn mantenuto su linee generali...parlerò di Constraint...di tossina botulinica...di ortesi...volevo sapere..secondo te cosa dovrei inserire sull'esercizio mono e bimanuale? avresti qualke appunto su questo tipo di terapia? ti ringrzio anticipatamente x la tua eventuale risposta...ciao e in bocca al lupo x il futuro!

Premetto che ho faticato un pò a leggere la mail, con tutte le k, le abbreviazioni eccetera; colgo l'occasione per pregare chi mi scrive di evitare il linguaggio da sms e cercare di essere più chiari possibile: state scrivendo non solo per voi stessi, ma anche per chi legge. inoltre come consiglio generale: visto che presto ti troverai a fronteggiare relazioni con persone di qualsiasi livello socio-culturale, quello che dici non è meno importante di come lo dici, che si tratti di scrivere una tesi di laurea o di parlare con un genitore.
Comunque, al di là di questo, leggendo della tua tesi mi sono subito chiesta: e la riabilitazione dov'è? se avessi letto un pò qua e là sul blog probabilmente non mi avresti fatto proprio questa domanda, visto che ho già specificato molte volte che tossina e ortesi (al di là del fatto che sono neanche tanto potenzialmente dannosissimi nelle PCI e in altre patologie) non sono riabilitazione, e non solo in senso lato, non sono neanche presidi riabilitativi, sono presidi medici. Non parliamo poi della CIT, che è un'aberrazione mostruosa: legare l'arto sano per "far muovere forzatamente quello plegico", ad oggi,  si avvicina di molto a quanto di più aberrante l'umana specie possa concepire, in termini riabilitativi ma soprattutto umani. L'ultimo studio che ho letto sulla CIT, che era del 2006, riportava miglioramenti su un centinaio di emiplegici. Andando a leggere con attenzione i miglioramenti riportati erano in termini di aumento della forza muscolare (a casa mia, quando l'arto plegico diventa "più forte" significa che è aumentata la spasticità) e aumento della velocità della performance (sempre a casa mia, l'aumento della velocità in un arto plegico significa aumento dell'irradiazione e traiettoria a parabola quando va bene). In sostanza quindi, gli emiplegici in questione non sono migliorati, sono peggiorati. Quindi: la prima cosa da fare è farsi un senso critico e saper leggere i dati: se i dati sono fuorvianti, i risultati sono obbligatoriamente fuorvianti.
Comunque, al di là di tutto: il nostro mestiere dovrebbe essere quello di costruire esercizi, e non quello di propinare attrezzi, macchine o bendaggi. In sostanza tu stai facendo una tesi su qualcosa che non ti dovrebbe competere, ovvero su applicazioni di "cose" esterne al bambino: questi non sono trattamenti in termini riabilitativi, di questo devi prendere consapevolezza. Costruire esercizi adeguati è molto, molto complesso, e va valutato bambino per bambino. Non esistono esercizi "per l'attività mono o bimanuale", ma esercizi per Carlo, Mario e Laura, quindi il mio consiglio, se vuoi fare una tesi che sia riabilitativa, costruiscila sugli esercizi (bisognerà vedere poi i casi riportati, le problematiche specifiche, e via dicendo) più che su tutto il resto, che con la riabilitazione ha poco a che fare.

l'insegnante di sostegno chiede: quali attività per una bimba di 6 anni con sindrome di west?

Ciao Fabiana,
sono Pamela dalla provincia di Teramo,sono un'insegnante di sostegno alla scuola dell'infanzia.
Ti scrivo per chiederti un consiglio su un caso nuovo per me: sto facendo sostegno ad una bambina di 6 anni affetta da sindrome di West,su cui mi sono documentata ma non abbastanza da poterne dedurre alcuna ipotesi operativa in ambito didattico.
La bambina frequenta ormai da circa 3 anni un centro di riabilitazione,in cui fa interventi di 45 minuti di logopedia e psicomotricità.
A scuola le ho proposto attività di manipolazione,come attaccare pezzettini di carta su di un disegno abbastanza grande,oppure fare puzzle con 4 pezzi da unire,ma la sua attenzione è discontinua o quasi assente.Le piace molto pitturare,cosa che le faccio fare anche senza un disegno stampato,ma ha sempre difficoltà a restare nello spazio stabilito,anche con un foglio bianco.
A livello motorio ha una deambulazione impacciata e non fa salti o altro.
Il mio problema è riuscire a capire come posso agire a livello didattico,se posso insegnarle qualcosa o aiutarla a raggiungere piccoli traguardi.
Non so se sono riuscita a spiegarmi con chiarezza,però spero di poter avere qualche consiglio.
Grazie per la possibilità che stai offrendo a molte persone di potersi consultare su casi molto delicati, perchè oggi tutti parlano di disabilità ma nessuno se ne preoccupa.
Ti auguro una buona giornata,

Pamela


Cara Pamela,
i bambini con sindrome di West in assenza di altre lesioni cerebrali riscontrabili  all'esame strumentale -si parla quindi di Sindrome di West criptogenetica- sono bambini che generalmente non hanno problemi a livello di tono muscolare, e quindi non presentano le tipiche problematiche relative alla spasticità. I problemi "di movimento" che hanno (quindi  ad esempio difficoltà nei movimenti fini e nelle abilità motorie complesse come correre o saltare) sono prettamente di tipo cognitivo. Anche se con i farmaci questi bimbi riescono in molti (anche se purtroppo ancora non tutti) casi, presto o tardi, a tenere sotto controllo le crisi e gli spasmi, a meno che la Sindrome non sia stata fermata in un tempo molto rapido, si evidenzia comunque un ritardo delle funzioni cognitive specifiche, e quindi a carico dell'attenzione, del linguaggio, della capacità di percepire, della memoria, ecc.
questi bimbi di solito guardano poco, non capiscono a cosa devono stare attenti, hanno difficoltà di comprensione del linguaggio, ed il problema, sul piano riabilitativo-didattico, è sempre quello che non si sa bene cosa fargli fare, e si tende a fargli ripetere dei gesti, delle azioni, dei compiti che però per il bambino stesso sono assolutamente privi di scopo. 
Vedi Pamela, all'interno della didattica  (e quindi anche in riabilitazione, che è una relazione docente-discente) bisogna sempre che sia manifesta quella che Castelfranchi chiama adozione di scopi: lo scopo deve essere condiviso tra docente e discente. Inoltre deve verificarsi l'assunzione di ruoli, che è il primo requisito per l'interazione cooperativa: il bambino deve assumere che l'adulto è colui che gli dà le informazioni necessarie per fare quello che lui non riesce a fare da solo.
Prendiamo in esame l'attaccare pezzetti di carta sul foglio: la bimba probabilmente non guarda la sua mano che attacca il pezzetto, ha problemi di coordinazione occhio mano, se non addirittura di mantenimento della fissazione su un target per più di pochissimi secondi, non sa a cosa serve un foglio, non ha l'idea di "iniziare qualcosa per finirla e produrre un risultato", per lei il foglio non ha senso come spazio su cui agire in qualche modo per produrre un elaborato di qualsiasi tipo. ecco che lo scopo non è condiviso, e l'interazione non è cooperativa. "rimanere nei margini" è una capacità che richiede tutta una serie di prerequisiti cognitivi che evidentemente la bimba non ha: "addestrarla" ad attaccare o a rimanere nei margini sul foglio in classe non la aiuterà, perchè anche se è possibile che nel tempo lo faccia, ad esempio non riuscirà a mantenere l'attenzione su un altro compito al di fuori di quello, e al di fuori del momento in cui non ci sei tu che "forzi" ogni passaggio. 
Devi dunque trovare delle attività che abbiano uno scopo conoscitivo per la bambina, e che d'altro canto le consentano di utilizzare quei processi cognitivi che di per sè non usa o  usa in modo alterato. La cosa migliore è fare giochi dove sia coinvolto il tatto: ti consiglio di utilizzare tavole con disegni fatti con superfici diverse (in questo post  ne trovi diverse per prendere "ispirazione"), conducendola a sentire le diverse superfici. puoi utilizzare ad esempio tavole con disegni che raccontano storie (io ne ho una con cappuccetto rosso, ma ti puoi sbizzarrire). ricordati che le superfici devono essere abbastanza grandi per poter essere sentite con tutta la mano. mentre glie le fai sentire commenta le sensazioni che sente (ad esempio puoi fare il lupo ruvido e dire "e arriva il lupo... aaaaarrr!!"; oppure "e cammina cammina nel bosco dove ci sono le foglie morbide morbide... aaaaaahhh!" e simili). Ne puoi fare diverse con diverse storie, oppure con disegni semplici.  Aumenta di molto la prosodia nel linguaggio per canalizzare l'attenzione e le espressioni facciali. Questo favorisce: la fissazione, la coordinazione occhio mano, l'attenzione, la costruzione di categorie (ruvido-morbido, piacevole-spiacevole, ecc.), l'interazione cooperativa, l'attenzione verso il corpo, eccetera. 
Come si vede se un bimbo sta condividendo l'esperienza con te? intanto guarda. Guarda te, guarda la mano che tocca l'oggetto, alterna lo sguardo tra te e l'oggetto. Ad un certo punto si deve cominciare a far guidare (ed ecco che si evidenzia l'assunzione di scopi e l'interazione cooperativa), esprime sensazioni adeguate al contesto (ad esempio commenta con i suoni relativi alla sensazione, cambia espressione del volto). Se la bambina sta attenta (e questo significa che tu stai facendo le cose nel modo corretto - se non sta attenta neanche pochi secondi, la colpa non è della bimba o "della patologia", ma dell'interazione scorretta), non distoglie lo sguardo, non si alza e se ne va, non piange, e via dicendo.
Ricordati che si può sempre fare qualcosa. Siamo noi che dobbiamo andare incontro ai bambini, e non viceversa. Se hai bisogno, chiamami pure.



lunedì 2 novembre 2009

Alessia, ad un anno dall'inizio con l'ETC

E' veramente con grandissima gioia e soddisfazione che pubblico l'aggiornamento di Davide, il papà di Alessia, ad un anno dall'inizio del suo percorso con l'ETC (ricordo che questa bimba non è seguita da me perchè in un'altra città, l'unico contatto che io ho avuto con loro è stato telefonico per indirizzarli da qualcuno che potesse aiutarli). per chi non avesse "seguito le puntate precedenti", le potete leggere dall'inizio:
La prima domanda
primo aggiornamento
secondo aggiornamento 

E' meraviglioso leggere, al di là dei risultati fondamentali, come è cambiato l'atteggiamento dei genitori: dal parlare "degli attrezzi e delle terapie" al parlare della bambina. Il passaggio dal "la bimba è grave" del consulto con il primo medico all' andiamo sempre avanti. Il passaggio dal "cos'altro posso fare" al festeggiamento per un anno di risultati, ed il termine della ricerca spasmodica di qualcos'altro. Un risultato che si ripercuote sulla serenità della famiglia... e su Alessia, sia in termini prettamente riabilitativi che assolutamente di vita. Grazie Davide, e un plauso a tutte le persone che seguono questa bambina.

Ciao Fabiana,
in questo periodo io e la mia famiglia, festeggiamo il primo anno di ETC. Giusto un anno fa sono entrato in contatto con questo mondo e da li è partito tutto. Perciò, per festeggiare quest'importante ricorrenza, ti voglio aggiornare sulle ultime tappe del nostro percorso. Un anno fa, dopo il consueto giro di visite specialistiche periodiche, le prospettive per Alessia erano fare la tossina botulinica agli arti inferiori (con l'introduzione dei fatidici tutori) e un intervento chirurgico agli occhi per correggere lo strabismo. In questi giorni abbiamo terminato i soliti controlli periodici ed ecco le novità: lo staff ortopedico non ritiene di primaria importanza effettuare le infiltrazioni di botulino, visto che la situazione dell'ipertono in un anno è migliorata sensibilmente e non sono certi che tale procedura possa dare risultati rilevanti. Pertanto di tutori alle caviglie non se ne parla più. Alessia ha spiazzato anche l'oculista: a settembre dello scorso anno ci aveva prospettato un intervento chirurgico che consisteva nel riposizionamento dei tendini oculari. Dopo averla visitata, e aver rilevato un notevole miglioramento della coordinazione visiva, ci ha detto che per ora l'intervento non era necessario e di continuare così.
Nel frattempo Alessia è passata dall'asilo nido alla scuola materna, il tutto senza traumi anzi, con serenità, gioia e tranquillità. Qualità che trasmette quotidianamente alla maestra di sostegno, alle maestre e ai piccoli compagni di classe.
Ed ecco l'aspetto che ci tengo a sottolineare: facendo ETC, oltre ad ottenere risultati rilevanti, siamo riusciti a dare una maggiore serenità alla bambina. Quando andiamo a fare terapia, lei sa che sta andando in un ambiente piacevole dove impara e si diverte. In tutti questi mesi non abbiamo mai saltato un seduta perchè Alessia non si dimostrava collaborativa nei confronti della terapista, anzi, se delle volte era un po' irrequieta, una volta arrivati nella stanza si rasserenava subito.
Indubbiamente tutto questo si trasmette positivamente sul morale di tutta la famiglia: posso tranquillamente dire che io e mia moglie stiamo attraversando un periodo di serenità che non vivevamo da tempo.
Andiamo avanti.
Un abbraccio,
Davide, il papà di Alessia.

lunedì 26 ottobre 2009

la mamma chiede: guarda meno a destra, problemi di campo visivo o altro?

Ciao Fabiana,

Il mio bimbo si chiama Andrea, erano 2, Lorenzino ci ha lasciati a 6 mesi e mezzo. Sono nati a Milano alla 24settimana e ad Andrea gli è stata diagnosticata la leucomalacia pereventricolare cistica di grado moderato/grave.

Andrea oggi ha 21 mesi (18 corretti) e fa psicomotricità al Besta 3 volte la settimana.
Da Luglio ha imparato a stare seduto da solo, ha un buon controllo del capo (anche se tende a tenerlo ogni tanto inarcato all'indientro).
La parte più compromessa a livello motorio è quella destra (tendenzialmente fa tutto con la sinistra, anche se è in grado di usare anche la destra che però è più rigida ed estende meno), anche la gamba destra lo è.

Anche se ad oggi non gli sono stati trovati problemi di refrazione (miopia o strabismo) e sembra vederci, il suo sguardo quando guarda le persone è rivolto verso l'alto (attaccatura dei capelli), segue tutto (oggetti, persone) ma sicuramente il suo campo visivo a destra è più limitato. Cmq tra qualche giorno faremo una nuova visita oculistica ed i PEV.
Il motivo per cui ti scrivo è che non sono sicura che il programma di riabilitazione che segue sia quello di cui ha bisogno. Non riesco a vedere un percorso, ho l'impressione che i piccoli progressi che fa li farebbe comunque e che non ci sia un valore aggiunto.
Sono consapevole del fatto che non esiste un approccio universale nè tantomeno una riabilitazione miracolosa ma sono altretanto certa che potremmo fare di più e meglio.

Ho trovato interessante i concetti che stanno alla base dell'ETC e se possibile vorei far valutare Andrea da un terapista ETC e se ci sono le condizioni iniziare un percorso insieme.


Spero tanto che tu riesca ad aiutarmi.
Nel frattempo di ringrazio per il tuo tempo.

A presto

Ciao Francesca,
il comportamento visivo del tuo bimbo è tipico dell'essere "indietro": infatti il bambino molto piccolo (si parla dei primissimi mesi di vita) è attratto da alcune caratteristiche tipiche del target, ovvero il contrasto, il contorno, il movimento, la distanza ravvicinata, ecc. più avanti il bambino comprende che gli elementi mobili del volto (occhi e bocca) sono quelli che permettono lo scambio interattivo in quanto manifestano emozioni e significati e promuovono l'apprendimento attraverso il "gioco interattivo" tipico dello scambio madre-bambino.
Andrea con ogni probabilità, avendo problemi a quel livello, dovrebbe fare esercizi visivi con tavole bianco-nere rappresentanti volti umani con elementi mobili (bocca, cappello, occhi, ecc.); disegni bianco-neri che si dividono a metà e si riuniscono per favorire l'alternanza dello sguardo, e via dicendo. il problema non è tanto il suo "campo visivo", quanto il fatto che lo spazio di destra non è considerato: si tratta quindi di un problema percettivo e attentivo.
Per quanto riguarda i PEV, il loro valore può essere solo relativo (ovvero: lo faccio oggi e risulta tot, lo faccio tra un anno ed è migliorato/peggiorato). E' infatti assai probabile che, in assenza di lesioni dell'area visiva primaria (lobo occipitale) e dell'occhio, così come del nervo e chiasma ottico (come credo che sia) i PEV risultino perfetti. ho visto con i miei occhi (anche se non è il caso del suo bimbo, ma è per farle capire) molti bambini con PEV perfetti e praticamente ciechi: in sostanza il problema è che le informazioni visive non vengono analizzate, costruire, elaborate, e quindi è come se non venissero viste. Ho visto anche un bambino con PEV nulli che però seguiva il papà che si spostava nella stanza. in ogni caso il risultato non cambia comunque la tipologia di problema che il bambino ha (che a mio parere è tutt'altro che solo visivo): gli esercizi però potrebbero cambiarlo e di molto.
La mancata attenzione verso destra si verifica infatti sia per lo spazio personale (arto superiore ed inferiore destro) che extrapersonale (quindi visivamente "guarda meno"): gli esercizi dovrebbero essere volti alla consapevolezza del suo corpo, con particolare ma non esclusiva attenzione alla parte destra (guardare la mano che tocca, voltarsi verso l'oggetto messo accanto alla mano o piede destro, ecc.) e con riferimento agli stimoli tattili. le modalità specifiche non posso dirgliele senza vedere il bimbo, ma sicuramente si può fare molto, considerata anche l'età. In assenza di un trattamento adeguato sicuramente il bambino migliorerà in parte (è quello che lei definisce "assenza di valore aggiunto", e che è costituito dal recupero spontaneo) ma si organizzerà intorno alla patologia, e dunque il miglioramento sarà scarso sul piano quantitativo e qualitativo. per il percorso è vero che non esiste il miracolo, ma un percorso sensato con obiettivi chiari e modalità specifiche, quello sì.
provi a chiamarmi e vediamo cosa si può fare per aiutare il suo bimbo.

dal gruppo Facebook la mamma chiede: la disprassia verbale si "risolverà"?

CIAO FABIANA VOLEVO UNA INFORMAZIONE: MA UN BAMBINO CON DISPRASSIA VERBALE AVRA PER TUTTA LA VITA PROBLEMI OPPURE TUTTO AVRA' UNA FINE?

intanto chiariamo un pò la definizione: "disprassia verbale" (così come disprassia oculare, o disprassia orale, ecc.) è un tentativo di inquadrare la disprassia in una serie di "etichette", però non ci dice molto sulle difficoltà del bambino. in generale, i bambini disprassici hanno una serie di problemi e difficoltà (diverse per ciascun bambino in termini qualitativi), tra cui difficoltà visuo spaziali, problemi nella frammentazione occhi-capo, nella comprensione delle relazioni temporali e spaziali tra i diversi segmenti corporei, difficoltà nella comprensione degli elementi spaziali e deittici del linguaggio, problemi specifici di memoria, eccetera. Senza entrare nello specifico del tuo bimbo, perchè di lui non mi hai detto nulla (e sarebbe comunque difficile dire qualcosa di specifico senza vederlo), provo a darti qualche indicazione.
da "grandi", ed in assenza di trattamento adeguato, molti problemi più che risolversi tendono a strutturarsi, ma alcune difficoltà possono essere non tanto colmate quanto "aggirate": i bambini comunque crescono, e qualche strategia (magari anche non prettamente corretta) la trovano anche autonomamente. Sicuramente, in assenza di trattamento adeguato alcune lacune permarranno e si tratterà di quei bambini motoriamente un pò goffi, con difficoltà di apprendimento, di memoria, di attenzione, di capacità di risolvere problemi, di linguaggio, ecc. A volte (ma questo non sempre, bisogna dirlo) questi problemi non inficiano comunque la qualità di vita di una persona: tieni conto che l'inventore dell'IKEA è un dislessico con problemi di memoria, e per ricordare le cose utilizza tonnellate di post-it. in molti casi però, essendo questi bimbi consapevoli delle loro difficoltà, si possono venire a creare dei disagi generalizzati, quindi il mio consiglio è valutare se il trattamento che sta facendo è adeguato (se vuoi qualche contatto, telefonami che provo a dartelo).

Con un trattamento adeguato infatti la maggior parte di questi problemi (a volte tutti, se il trattamento è molto buono sin dall'inizio) si possono risolvere, ma gli esercizi devono essere assolutamente specifici per le sue difficoltà. In sunto: si risolverà? Sicuramente migliorerà, ma se sarà in grado di risolvere i suoi problemi o per lo meno di trovare delle strategie alternative, questo dipende in gran parte (se non del tutto) dal tipo di trattamento che fa.

la mamma chiede: mi dicono che deve gattonare per forza, ma già cammina. che devo fare?

Buongiorno
mio figlio Piero ha 18 mesi. Quando ne aveva 4 la pediatria l'ha mandato a un consulto npi per "atteggiamento viziato del capo verso destra". La Neuropsichiatra ha riscontrato un ipertono e un lieve ritardo motorio. Abbiamo iniziato la fisioterapia e abbiamo fatto una visita genetica (da cui non è emerso niente) e una risonanza magnetica (da cui è emersa una leucomalacia periventricolare, che la neuropsichiatra stessa ha definito "strana" non avendo avuto Piero alcuna sofferenza perinatale). In ogni caso mio figlio ha "conquistato" tutte le tappe di sviluppo motorio in ritardo rispetto alla media (controllo del capo a quasi 6 mesi, seduto da solo a 8). La fisioterapista che lo segue (un'ora ogni 15 gg) tramite Asl, in accordo con la neuropsichiatra sostiene che non devo lasciare che mio figlio stia in piedi e cammini (eppure lo fa volentieri e cammina solo con l'aiuto di un mio dito) perchè non si muove autonomamente a terra. Cioè: "deve" trovare il modo di spostarsi a terra (gattonando o in altro modo) prima di passare alla stazione eretta, se no (parole della npi) "non camminerà mai bene e rischiamo di rovinare lo sviluppo delle ginocchia".
Io quotidianamente provo a stimolarlo a spostarsi a terra, mettendogli i giochi lontani, ma Piero, dopo due o tre volte che tentando di gattonare non riesce a reggersi con le braccia e cade "faccia a terra", si stufa e non ci prova più.
Lei cosa mi consiglia?
Grazie, Rossella

Cara Rossella,
non ho capito bene quale sia la diagnosi del suo bimbo (tetraparesi o diparesi? anche se visto il coinvolgimento iniziale del capo mi verrebbe da pensare ad una tetraparesi molto sfumata, a giudicare dalla descrizione), comunque questo non cambia il mio pensiero: IL GATTONAMENTO NON E' PREREQUISITO DEL CAMMINO IN NESSUN CASO. non è vero che se non gattona non camminerà mai bene, anzi, nel caso di PCI di solito è l'esatto contrario. ne ho parlato anche qui, comunque mi ripeto perchè non è mai abbastanza: il gattonamento prolungato (e nei casi di PCI di solito questo si protrae per anni) rovina le ginocchia e le anche, facilitando le retrazioni. per di più, poichè l'apprendimento avviene per interazione, e non per ripetizione di movimenti all'infinito, la posizione quadrupedica non aiuta neanche in questo, anzi, forza gli arti superiori ad essere utilizzati come supporto dello spostamento e non, come dovrebbe essere, per raggiungere gli oggetti ed essere utilizzati nella manipolazione. Io ho in trattamento addirittura un bambino che cammina e corre, eppure l'approccio utilizzato in precedenza lo costringeva a strisciare. questo non ha veramente nessun senso: le tappe che il bambino deve acquisire sono il controllo del capo, la posizione seduta long sitting, la posizione seduta sul panchetto, la stazione eretta, il cammino. E BASTA. le altre (striscio, gattono) sono varianti che i bambini sani possono inserire (ma molto spesso non lo fanno neanche) come strumenti per fare altro, ma assolutamente non costituiscono tappe obbligate, anzi costituiscono, in questi bambini, comportamenti che tendono a strutturarsi e a divenire statici e poco variabili.
quindi il mio consiglio è questo: NON forzare il gattonamento, anzi, a parer mio sarebbe da scoraggiare (tra l'altro, lasceresti faccia a terra un bambino sano per farlo gattonare a forza? e perchè lui invece dovrebbe starci?). per quanto riguarda la stazione eretta, se si tratta di una tetraparesi o diparesi, è da valutare se sia già il momento, perchè potrebbe essere un pò presto. con ogni probabilità, visto che già si sposta, camminerà comunque, ma sarebbe da vedere come il bambino si sposta ed eventualmente lavorare in posizione seduta ancora per un pò per fare in modo che il cammino sia qualitativo. questo però ovviamente te lo potrei dire con certezza solo vedendo il bambino.