L' Esercizio Terapeutico Conoscitivo non è un mondo facile da scoprire.
Per qualche strana ragione è una cosa che devi andarti a cercare.
Ecco la mia esperienza.
La nascita di un bimbo disabile è un elemento abbastanza destabilizzante, ma niente a che vedere con il momento in cui te lo affidano dopo mesi di ospedale. Qualche giorno prima delle dimissioni, la dottoressa che aveva in cura mia figlia, ci ha convocati è ha fatto il punto della situazione:
la bimba è grave e ha bisogno di fare fisioterapia.
Tutto quello che conoscevo sulla riabilitazione si racchiudeva sotto un semplice concetto: ti fai male, ti ingessano e hai bisogno di fare fisioterapia per riacquistare la completa mobilità dell'arto infortunato.
Con queste nozioni siamo andati all'ASL per iniziare la fisioterapia, passando dal neuropsichiatra.
Pensando che fosse la sola e unica strada percorribile, Alessia ha cominciato il suo percorso riabilitativo. Abbiamo fatto due bustini, abbiamo utilizzato uno stabilizzatore da prono e abbiamo utilizzato un girello. Per circa tre anni, tutto questo ha dato ottimi risultati. O meglio. Per quelle che erano le conoscenze mie e di mia moglie, e secondo quanto ci dicevano i vari dottori, la bambina mostrava ottimi progressi. Bello... fino a quando non abbiamo avuto l'impressione che quello che stavamo facendo, non fosse proprio la cosa più adatta per la nostra bambina.
Sembrava che Alessia, che fino a quel momento era stata super collaborativa, non si accontentasse più di stare semplicemente dove la mettevamo. Sentiva la necessità di interagire, di toccare, di esplorare, di guardare. Tutti questi ausili forse sono serviti a farle avere un il controllo della testa...ma ci si ferma lì.
Tutto il metodo Bobath (abbiamo scoperto che la fisioterapia che abbiamo fatto con Alessia si chiama così) prevede l'utilizzo di questi ausili che costringono a determinate posizioni. Non sono esperto, ma credo di aver capito che il concetto sia il seguente: non sei in grado di mantenere una posizione? Bene, ti immobilizzo in quella posizione fino a che non riesci a starci da solo.
Probabilmente quello che ho scritto è estremamente riduttivo e impreciso, ma dopo tre anni e mezzo, questa è la sensazione che io e mia moglie abbiamo percepito. Non è che voglio rinnegare completamente tutto quello che si è fatto, ma ci siamo resi conto che tutto questo ci stava stretto (...in tutti i sensi e soprattutto per Alessia).
Perciò, con questo stato d'animo di insoddisfazione, mi sono messo alla tastiera e in un forum specializzato ho chiesto semplicemente cosa avrei potuto fare in più per mia figlia.
Da genitore a genitore.
Mi è stato proposto l'ETC.
Già il nome racchiude un significato: Esercizio Terapeutico Conoscitivo
Ho approfondito e mi sono reso conto che fisioterapia non è necessariamente utilizzo di ausili. Fisioterapia non è necessariamente un'ora da sopportare. Fisioterapia non è necessariamente un'imposizione al bambino. Anzi...può essere tutt'altro!
Il problema è che non si trovano molte persone che utilizzano questo metodo.
Noi siamo dovuti andare a Pisa per entrare in contatto con questo metodo.
Abitiamo in provincia di Firenze e sono 100 km a andare e 100 km a tornare.
Già dal primo contatto per prendere l'appuntamento, ti rendi conto conto che si parla un'altra lingua.
La signora che si occupa degli appuntamenti mi ha spiegato che per una valutazione occorreva fare un incontro con il loro medico e dopo bisognava fare 5 incontri con la fisioterapista.
Dopo tutto questo ci avrebbero rilasciato una scheda di valutazione.
A noi, abituati a “visite lampo” di un'oretta, ci sembrava una cosa spropositata, ma intuendo che tutto questo poteva avere un senso, abbiamo deciso di provare.
Durante il primo incontro, quello con il dottore, Alessia è stata prevalentemente osservata. La bambina era un po' nervosa, ma a un certo punto è entrata nella stanza una terapista. Si è presentata, ci ha detto che avrebbe seguito lei Alessia durante gli incontri successivi, ha preso in braccio la bimba, le ha spiegato cosa stava succedendo con parole semplici e pacate e se l'è portata via con se. Io e mia moglie ci siamo guardati negli occhi e abbiamo pensato: ora dalle urla che caccia viene giù l'ospedale. I genitori di bambini con danni neurologici possono capire le difficoltà di Alessia a relazionarsi con sconosciuti in ambienti non familiari... Invece Alessia è rientrata nella stanza dopo dieci minuti tranquillissima, come se lei e la terapista si conoscessero da una vita!
Dopo qualche settimana abbiamo iniziato gli incontri con la terapista.
Per non stressare troppo Alessia, abbiamo fissato gli incontri il lunedì e il mercoledì mattina, dandole il tempo di recuperare fra un viaggio e l'altro.
Appena siamo arrivati, Alessia ha subito riconosciuto il posto e ha subito riconosciuto la terapista.
Si è fatta un'ora filata di terapia divertendosi a guardare e toccare i vari oggetti che gli venivano proposti. Quando siamo ritornati la volta successiva, si ricordava dell'esperienza precedente, e ha partecipato con ancora maggior interesse agli esercizi che le venivano proposti. Durante tutti e cinque i giorni è stata molto attenta e collaborativa. E' successa anche una cosa buffa. Una volta la terapista ci ha fatto accomodare nella stanza dove facevamo terapia, dicendoci che sarebbe arrivata subito. Quando Alessia l'ha vista uscire, si è messa a piagnucolare fino a quando la terapista non è rientrata, l'ha presa in braccio e ha cominciato gli esercizi.
Questo mi ha fatto capire che la terapia può essere anche un gioco che coinvolge il bambino, senza necessariamente costringerlo a fare.
Sono circa due mesi che Alessia segue questo metodo.
Non posso dire che in due mesi ci sia stato un miglioramento eccezionale, perchè non ho i mezzi ne le capacità tecniche per poterlo affermare.
Però Alessia ora è più attenta, guarda la televisione (cosa che prima le dava fastidio), riesce a tenere maggiormente il contatto visivo sugli oggetti, cerca il contatto con le mani, accarezza il mio viso e quello di mia moglie...ma soprattutto, durante l'ora di terapia, gioca!
Non so esattamente se tutto questo è merito dell'ETC, ma in due mesi Alessia è cambiata. E' più presente, più attenta, riesce a prevedere alcune cose che stiamo per proporle. A me e a mia moglie ci sembra maturata...
Spero che la mia esperienza possa servire a far capire che ci sono vari modi di fare terapia: ognuno ha le sue caratteristiche, ognuno ha vantaggi e svantaggi.
Ma bisogna rendersi conto di una cosa fondamentale: il tempo che un bimbo passa a fare fisioterapia dovrebbe essere il meno stressante possibile e dovrebbe esaltare le sue capacità.
Secondo me l'ETC si avvicina molto tutto questo.
Davide, il babbo di Alessia.
Per qualche strana ragione è una cosa che devi andarti a cercare.
Ecco la mia esperienza.
La nascita di un bimbo disabile è un elemento abbastanza destabilizzante, ma niente a che vedere con il momento in cui te lo affidano dopo mesi di ospedale. Qualche giorno prima delle dimissioni, la dottoressa che aveva in cura mia figlia, ci ha convocati è ha fatto il punto della situazione:
la bimba è grave e ha bisogno di fare fisioterapia.
Tutto quello che conoscevo sulla riabilitazione si racchiudeva sotto un semplice concetto: ti fai male, ti ingessano e hai bisogno di fare fisioterapia per riacquistare la completa mobilità dell'arto infortunato.
Con queste nozioni siamo andati all'ASL per iniziare la fisioterapia, passando dal neuropsichiatra.
Pensando che fosse la sola e unica strada percorribile, Alessia ha cominciato il suo percorso riabilitativo. Abbiamo fatto due bustini, abbiamo utilizzato uno stabilizzatore da prono e abbiamo utilizzato un girello. Per circa tre anni, tutto questo ha dato ottimi risultati. O meglio. Per quelle che erano le conoscenze mie e di mia moglie, e secondo quanto ci dicevano i vari dottori, la bambina mostrava ottimi progressi. Bello... fino a quando non abbiamo avuto l'impressione che quello che stavamo facendo, non fosse proprio la cosa più adatta per la nostra bambina.
Sembrava che Alessia, che fino a quel momento era stata super collaborativa, non si accontentasse più di stare semplicemente dove la mettevamo. Sentiva la necessità di interagire, di toccare, di esplorare, di guardare. Tutti questi ausili forse sono serviti a farle avere un il controllo della testa...ma ci si ferma lì.
Tutto il metodo Bobath (abbiamo scoperto che la fisioterapia che abbiamo fatto con Alessia si chiama così) prevede l'utilizzo di questi ausili che costringono a determinate posizioni. Non sono esperto, ma credo di aver capito che il concetto sia il seguente: non sei in grado di mantenere una posizione? Bene, ti immobilizzo in quella posizione fino a che non riesci a starci da solo.
Probabilmente quello che ho scritto è estremamente riduttivo e impreciso, ma dopo tre anni e mezzo, questa è la sensazione che io e mia moglie abbiamo percepito. Non è che voglio rinnegare completamente tutto quello che si è fatto, ma ci siamo resi conto che tutto questo ci stava stretto (...in tutti i sensi e soprattutto per Alessia).
Perciò, con questo stato d'animo di insoddisfazione, mi sono messo alla tastiera e in un forum specializzato ho chiesto semplicemente cosa avrei potuto fare in più per mia figlia.
Da genitore a genitore.
Mi è stato proposto l'ETC.
Già il nome racchiude un significato: Esercizio Terapeutico Conoscitivo
Ho approfondito e mi sono reso conto che fisioterapia non è necessariamente utilizzo di ausili. Fisioterapia non è necessariamente un'ora da sopportare. Fisioterapia non è necessariamente un'imposizione al bambino. Anzi...può essere tutt'altro!
Il problema è che non si trovano molte persone che utilizzano questo metodo.
Noi siamo dovuti andare a Pisa per entrare in contatto con questo metodo.
Abitiamo in provincia di Firenze e sono 100 km a andare e 100 km a tornare.
Già dal primo contatto per prendere l'appuntamento, ti rendi conto conto che si parla un'altra lingua.
La signora che si occupa degli appuntamenti mi ha spiegato che per una valutazione occorreva fare un incontro con il loro medico e dopo bisognava fare 5 incontri con la fisioterapista.
Dopo tutto questo ci avrebbero rilasciato una scheda di valutazione.
A noi, abituati a “visite lampo” di un'oretta, ci sembrava una cosa spropositata, ma intuendo che tutto questo poteva avere un senso, abbiamo deciso di provare.
Durante il primo incontro, quello con il dottore, Alessia è stata prevalentemente osservata. La bambina era un po' nervosa, ma a un certo punto è entrata nella stanza una terapista. Si è presentata, ci ha detto che avrebbe seguito lei Alessia durante gli incontri successivi, ha preso in braccio la bimba, le ha spiegato cosa stava succedendo con parole semplici e pacate e se l'è portata via con se. Io e mia moglie ci siamo guardati negli occhi e abbiamo pensato: ora dalle urla che caccia viene giù l'ospedale. I genitori di bambini con danni neurologici possono capire le difficoltà di Alessia a relazionarsi con sconosciuti in ambienti non familiari... Invece Alessia è rientrata nella stanza dopo dieci minuti tranquillissima, come se lei e la terapista si conoscessero da una vita!
Dopo qualche settimana abbiamo iniziato gli incontri con la terapista.
Per non stressare troppo Alessia, abbiamo fissato gli incontri il lunedì e il mercoledì mattina, dandole il tempo di recuperare fra un viaggio e l'altro.
Appena siamo arrivati, Alessia ha subito riconosciuto il posto e ha subito riconosciuto la terapista.
Si è fatta un'ora filata di terapia divertendosi a guardare e toccare i vari oggetti che gli venivano proposti. Quando siamo ritornati la volta successiva, si ricordava dell'esperienza precedente, e ha partecipato con ancora maggior interesse agli esercizi che le venivano proposti. Durante tutti e cinque i giorni è stata molto attenta e collaborativa. E' successa anche una cosa buffa. Una volta la terapista ci ha fatto accomodare nella stanza dove facevamo terapia, dicendoci che sarebbe arrivata subito. Quando Alessia l'ha vista uscire, si è messa a piagnucolare fino a quando la terapista non è rientrata, l'ha presa in braccio e ha cominciato gli esercizi.
Questo mi ha fatto capire che la terapia può essere anche un gioco che coinvolge il bambino, senza necessariamente costringerlo a fare.
Sono circa due mesi che Alessia segue questo metodo.
Non posso dire che in due mesi ci sia stato un miglioramento eccezionale, perchè non ho i mezzi ne le capacità tecniche per poterlo affermare.
Però Alessia ora è più attenta, guarda la televisione (cosa che prima le dava fastidio), riesce a tenere maggiormente il contatto visivo sugli oggetti, cerca il contatto con le mani, accarezza il mio viso e quello di mia moglie...ma soprattutto, durante l'ora di terapia, gioca!
Non so esattamente se tutto questo è merito dell'ETC, ma in due mesi Alessia è cambiata. E' più presente, più attenta, riesce a prevedere alcune cose che stiamo per proporle. A me e a mia moglie ci sembra maturata...
Spero che la mia esperienza possa servire a far capire che ci sono vari modi di fare terapia: ognuno ha le sue caratteristiche, ognuno ha vantaggi e svantaggi.
Ma bisogna rendersi conto di una cosa fondamentale: il tempo che un bimbo passa a fare fisioterapia dovrebbe essere il meno stressante possibile e dovrebbe esaltare le sue capacità.
Secondo me l'ETC si avvicina molto tutto questo.
Davide, il babbo di Alessia.
1 commento:
grazie per questa interessante testimonianza. e un abbraccio affettuoso ad alessia!
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