giovedì 5 febbraio 2009

la mamma chiede: come si valuta l'ipotono? e cosa influenza il recupero?

ciao Fabiana, ho letto con interesse le tue spiegazioni sulla spasticità, sull'ipertono e l'ipotono, quello che vorrei sapere è pero questo, esistono gradi di ipotonia? se si quali e quanti? come si fa a dire IPOTONIA GRAVISSIMA, da cosa dipende? e il recupero diverso da ogni bambino da cosa è modificato? Ciao fabiana
N. mamma di G.

Per quanto riguarda la tua prima domanda, le scale di valutazione dell'ipotono possono avere una valenza nel campo di malattie neuromuscolari come distrofia muscolare, SMA, o altre patologie degenerative dove il muscolo può venire inficiato e dove si tenta di quantificare il danno per valutare la progressione della malattia. Io non conosco queste scale (non lavorando generalmente con le patologie neuromuscolari), ma misurano la capacità o meno di compiere alcuni movimenti e/o il tempo impiegato per compierle (es. misurazione del tempo di manovra di Gowers nella DMD) assegnando un punteggio. Personalmente credo che con "ipotono gravissimo" si possa intendere un floppy infant (neonato con paralisi flaccida e postura "a rana") riscontrabile in patologie come la Werdnig-Hoffman o simili.
Nelle patologie di origine centrale come Paralisi Cerebrali infantili o sindromi genetiche NON degenerative e che non affliggono il muscolo, queste valutazioni non hanno senso, per una serie di motivi:

- l'ipotono non è un ipotono "muscolare", ma "di organizzazione". Riprendo, per spiegarti, un esempio molto semplice che sento dire a volte dal mio professore, quando spiega ai parenti dei pazienti "perchè non riesce a stare in piedi": immagina di dover fare il triplo salto mortale. tu hai gli stessi muscoli, in potenza, di un atleta circense che lo sa fare, ma se ci provi non ci riesci. non è una questione di "forza muscolare" perchè potresti allenarti coi pesi per anni e il triplo salto mortale non riusciresti a farlo lo stesso; non è solo un fatto di "allenamento" perchè potresti provarci per decine e decine di volte, ma se non sai come fare, l'unico risultato sarebbe farti male: il fatto è che cognitivamente non sei organizzato per costruire il salto mortale, perchè si tratta di qualcosa di troppo complesso.
Allo stesso modo l'ipotono delle paralisi cerebrali o delle sindromi genetiche, e financo di alcuni disturbi cerebrali minori come disprassie o disturbi del movimento in assenza di paralisi (goffagine, ecc.) non sono problemi "muscolari", ma problemi di organizzazione cognitiva. la "quantificazione" non ha molto senso in questo caso.

- nelle paralisi cerebrali o comunque nei disturbi centrali l'ipotono generalmente coesiste con l'ipertono: per dire, si può avere ipotono assiale ma che in irradiazione diventa opistotono (forte contrazione dei muscoli della regione posteriore del tronco, che si porta in iperestensione); ipotono del tronco (che ripeto, è sempre un ipotono di organizzazione ma anche di difficoltà di relazione con il mondo a qualche livello) e ipertono degli arti; ipotono allo stato "di riposo" ed irradiazione e RAAS al tentativo di movimento nello stesso distretto, ecc.
Quindi, anche a volerlo "quantificare" sarebbe veramente difficoltoso (oltre che inutile).

Riguardo la tua seconda domanda, ci si potrebbe fare una disquisizione di 10 pagine, comunque cerco di rimanere "nei binari" e provo a darti una risposta più schematica e semplice possibile, che mi viene dagli studi fatti ma anche dall'esperienza. Possiamo individuare una serie di fattori che influenzano il recupero del bambino, che INSIEME danno il recupero:
1. entità del danno: verrebbe da pensare che più la lesione è grave, minore è il recupero. in realtà, tra i fattori che influenzano il recupero, per esperienza dico che la gravità non costituisce quello più rilevante. è ovvio che in caso di lesioni vastissime non ci si può aspettare il miracolo, ma ho visto in questi anni come un buon intervento da parte di tutti quelli che si occupano del bambino (terapisti, insegnanti, famiglia, ecc.), ed un grande impegno da parte di tutti possono portare risultati insperati in pazienti in cui la risonanza non lasciava spazio a molti dubbi. in alcuni casi, dove il danno tutto sommato era apparentemente lieve, ho visto invece miglioramenti tutto sommato scarsi per tutta una serie di fattori, a volte legati ad una cattiva riabilitazione, a volte ad altri fattori extra riabilitativi.
è ovvio che bisogna sempre prendere in considerazione il punto di partenza (che in assoluto non è costituito dall'esame strumentale: in generale la risonanza dice poco rispetto alle condizioni reali del bambino) e non nascondersi dietro ad un dito: ci sono casi gravi e casi meno gravi. però in proporzione, un bambino più grave, trattato bene, migliora di più di uno lieve, trattato male.
2. plasticità neuronale e riorganizzazione spontanea: la plasticità, cioè la capacità del sistema nervoso di riorganizzarsi a seguito di una lesione, fa in modo che vi sia sempre una percentuale di recupero spontaneo a seguito di una lesione. questa percentuale è ovviamente variabile, ma in generale tutti i bambini migliorano, soprattutto nei primi anni (e di solito i terapisti tendono a prendersi tutto il merito in questo roseo periodo, anche laddove palesemente è "merito" solo del bambino).
3. tipologia di intervento riabilitativo: tutti i bambini hanno un recupero spontaneo, ma se l'intervento riabilitativo è scadente, dopo pochissimi anni (a volte anche meno!!) però si fermano (o spesso peggiorano, perchè la riorganizzazione è comunque "patologica" ed emergono condotte organizzate sulla patologia). un intervento riabilitativo che invece sia di aiuto alla riorganizzazione in una direzione positiva, che dunque guidi la riorganizzazione neuronale in un senso piuttosto che in un altro, fa effettivamente la differenza. specifico che, stabilito un numero minimo di ore non superiori alla soglia di attenzione del bambino, è la tipologia di intervento, e non la quantità a fare la differenza.
4. esperienze vissute: attenzione, perchè non è vero che "più cose fa, meglio è". è vero che i bambini apprendono dalle esperienze che vivono, ma non tutte sono adeguate. per dire, mettere in acqua un bambino che irradia molto, che si irrigidisce, i cui tentativi di muoversi in acqua strutturano movimenti patologici è sì esperienza, ma il bimbo apprende da quell'esperienza contenuti sbalgiati. io sono dell'idea che tutto vada valutato singolarmente per il paziente: a volte mi chiedono cose tipo può fare ippoterapia? a questo tipo di richieste io rispondo: se non si irrigidisce e gli piace, sì, ma chiamiamolo "andare a cavallo". se sul cavallo gli adduttori diventano dei tronchi, e le mani si chiudono a pugno per "sostenersi", direi che è meglio di no.
esperienze che a mio avviso vanno vissute dai bambini con patologia sono l'incontro con gli altri coetanei, la scolarizzazione, le relazioni con gli adulti, i momenti di gioco e svago, le attività extrascolastiche (musica, ecc.) e via dicendo. insomma, le stesse esperienze che fanno tutti i bambini.
5. atteggiamento generale delle persone che circondano il bambino: ho visto in questi anni come un atteggiamento eccessivamente sfiduciato o palesemente poco realista nei confronti delle capacità bambino o della terapia da parte della famiglia modifichi, e non di poco, il recupero.
trattare il bambino come una persona che comunque "non capisce", come un oggetto del recupero invece che come soggetto, sicuramente non porta grandi risultati, ma anche il non voler vedere le difficoltà reali non è di grande aiuto, anzi forse questo è uno degli atteggiamenti peggiori, in termini di prospettive per il recupero (e questo si verifica soprattutto nelle difficoltà cognitive, dove la modifica della richiesta cambia completamente la performance -odio questo termine- del bambino, ed il genitore a volte è tentato di trovare scorciatoie per affermare che in realtà "il bambino capisce tutto").
Anche l'atteggiamento del genitore nei confronti della terapia sicuramente influenza il recupero del bambino. per dirne una: se un bambino viene da me ed io consiglio di NON farlo camminare per il momento, ed il genitore non segue queste indicazioni, è assai probabile che il mio lavoro venga inficiato dalla restante esperienza che il bambino fa al di fuori dell'ora di terapia ed i risultati cercati tarderanno a venire. se io consiglio di non ripetere al bambino le stesse domande sempre nello stesso modo, ed i parenti fanno il contrario, difficilmente il bambino si modificherà. la terapia dura un'ora e sicuramente serve, ma nelle restanti 23 ore giornaliere il compito del genitore, se non deve essere in alcun modo quello di "fare terapia" al bambino, deve essere quello di "non andare contro la terapia". sembra strano ma a volte succede.

in generale sono molti i fattori che influenzano il recupero: il terapista deve lavorare sì sul bambino (per questo sostengo che il terapista debba ai suoi pazienti studio, fatica e impegno), ma anche sulla famiglia, per fare in modo che vengano compresi gli obiettivi e cosa bisogna fare per raggiungerli; il terapista deve mostrare al genitore questo bambino in un'ottica nuova, da "quello che non sa fare" a "come è possibile modificarlo", perchè il bimbo sia circondato sempre da persone che lo vedono in modo propositivo e che lo accompagnino nel suo personale percorso di recupero senza essere irreali o disfattisti.

al genitore spetta, a mio avviso, il compito di lavorare su se stesso per avere una visione globale (ma globale davvero) del proprio bambino, ed un atteggiamento dove ci si renda conto delle difficoltà reali senza per questo considerarle qualcosa di inaffrontabile o senza evitarle "sostituendosi" al bambino per scansare il dolore del confronto: bisogna ricordarsi che si può sempre fare qualcosa, l'importante è che quel qualcosa abbia un senso.

in sostanza è un percorso di crescita che si fa insieme, il terapista e la famiglia. a volte le due parti sono disponibili all'incontro, e qui si vedono i risultati più grandi. altre volte c'è, per un motivo o per l'altro, una reticenza da parte di una delle due parti a fidarsi dell'altra, ed i risultati sono qualitativamente più scadenti. insomma... un pò come in tutte le relazioni, a volte funziona, a volte no :)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Fabiana sono una mamma di un bimbo di 2 anni che ha 2 mesi ha avuto un'ischemia celebrale.
La diagnosi per ora è quella di tetraparesi spatica, vorrei capirne di più.
Soffre di ipotono muscolare e di ipertensione.
Sta seguendo un percorso di riabilitazione di due sedute settimanali.
Volevo capire se posso riporr in lui speranze di recupero e,se oltre le sedute settimanali si poò fare qualcos'altro.
Grazie.

ninnallegra ha detto...

ho risposto nel blog (post del 29/04/2009)