lunedì 29 giugno 2009

la mamma chiede: ha un idrocefalo ma non ha ritardi, la devo far vedere a qualcuno?

ho letto di te su "la strada per l'arcobaleno" associazione italiana spina bifida e idrocefalo.
La mia bambina è stata operata per idrocefalo. Ora ha 8 mesi...e al momento non ha ritardi. Secondo te sarebbe utile farla vedere da un terapista? come funziona la cosa?


L'idrocefalo può essere causato dalle più disparate condizioni patologiche (spina bifida, neoplasie, lesioni, infiammazioni, ecc.) che bloccano il liquor (che è un liquido che irrora tutto il sistema nervoso centrale, cervello e midollo) a livello di uno dei suoi "passaggi", facendo sì che si accumuli "a valle", e cioè nei ventricoli cerebrali. può trattarsi anche semplicemente di un aumento della produzione del liquor, che non riesce ad essere "smaltito" nei tempi adeguati, ed allo stesso modo tende ad accumularsi.
l'idrocefalo nei bambini viene attualmente trattato con l'impianto di derivazioni (shunt) che permettono di evitare l'accumulo del liquor all'interno dei ventricoli cerebrali, drenandolo di solito all'interno del peritoneo. il problema dell'idrocefalo non trattato chirurgicamente è che il liquor, accumulandosi nei ventricoli cerebrali, li fa aumentare di volume. il cervello, così compresso, va a schiacciarsi sulla teca cranica, danneggiando la corteccia da una parte, e la zona periventricolare dlal'altra, fino ad arrivare a casi estremi dove i ventricoli, pieni di liquor, vanno ad occupare quasi tutto lo spazio all'interno del cranio, riducendo gli emisferi cerebrali ad una sottile lamina periventricolare (tipologia che viene definita "cervello a tagliatella" a causa della forma riscontrata nei tagli sagittali). io nella mia vita a dire la verità ne ho visto uno solo, di bimbo con questa tipologia e gravità di idrocefalo, perchè solitamente l'intervento viene effettuato prima che si verifichino danni di questa entità, e anzi spesso l'impianto viene effettuato con successo prima che si verifichino danni, in generale: questo perchè il cranio dei neonati e dei lattanti ha un margine di "espansione" derivato dalla mancata chiusura delle fontanelle, e quindi almeno inizialmente l'idrocefalo viene compensato senza danni. probabilmente la tua bimba rientra fortunatamente in quest'ultimo caso. puoi portarla per scrupolo da un bravo neuropsichiatra e farla vedere ad un terapista (se mi dici di dove sei, posso vedere se conosco qualcuno), per sincerarti che sia tutto a posto, ma credo che comunque il neurochirurgo che l'ha operata avrebbe notato se ci fosse stato qualche ritardo: di solito è direttamente lui che invia il bambino alla struttura dove il bambino possa essere valutato ed eventualmente inserito in terapia.
moltissimi bambini operati di idrocefalo tuttavia non presentano alcun ritardo, e vivono una vita assolutamente normale, solo con un briciolo di attenzione in più per quanto riguarda le possibili infezioni dello shunt. sicuramente la tua bimba rientra in questa casistica (seppur non possa dirlo con certezza, almeno dalle foto che ho visto, tutto mi sembra fuorchè una bimba "in ritardo").

comunque, per solo dovere di cronaca, di solito i bambini con idrocefalo non secondario ad una problematica di altro tipo (lesione, malformazione, tumore, encefalite, ecc.) non hanno disturbi del tono in termini di spasticità, ma problemi di coordinazione motoria e disturbi più specifici delle funzioni cognitive. di solito sono bambini che da piccoli sono ipotonici e lassi, con lacune nei comportamenti relativi al sistema visivo ed all'interazione con l'adulto. presentano un ritardo psicomotorio generalizzato, i comportamenti motori ed il linguaggio si presentano in ritardo e non coerentemente con le richieste dell'ambiente, e spesso presentano stereotipie. ovviamente questo a diversi livelli di gravità a seconda della gravità del danno e delle aree danneggiate.
in questi casi la "ginnastica" aiuta poco, e si evidenzia a maggior ragione la necessità di un trattamento integrato che si occupi della motivazione (spesso carente) e quindi dell'utilizzo dei processi cognitivi in relazione a scopi sempre più complessi. non è sicuramente questo il caso di tua figlia, ma almeno per specificare, ho ritenuto opportuno descrivere brevemente le problematiche di questa patologia.

ti faccio i miei migliori auguri, ed i complimenti per la bambina :)

mercoledì 24 giugno 2009

la testimonianza: Gabriele, ad un mese dall'inizio del trattamento con ETC!

Pubblico con enorme piacere la testimonianza della mamma di Gabriele, un bimbo che è venuto in consulenza da me a Roma per una valutazione, ed è stato inviato ad un'eccellente terapista della sua città. ad un solo mese dall'inizio della terapia, la mamma dice questo:

Ciao Fabiana come va?
Qui tutto bene.
Gabriele prosegue con entusiasmo la terapia con Emanuela due volte la settimana.
Anche Emanuela è contenta dice sempre che Gabri è bravissimo e lo riempie di baci. Quando arriviamo nel suo studio Gabri sà già che lo aspettano i suoi giochini preferiti, il teatrino con le forme nascoste, le stradine con le macchinine che vanno nei garages (lui adora le macchinine......da buon maschietto !!!).....ecc ....ecc.
E' migliorato molto il rilassamento delle gambe quando è seduto e l'uso della mano sinistra oltre ad essere anch'essa più rilassata.
Ora Emanuela non c'è fino all' 8 di luglio ma abbiamo i compitini a casa!!!!
Sono molto contenta di aver conosciuto te Fabiana e questo metodo da pochi purtroppo conosciuto ma molto efficace e soprattutto anche molto divertente per i nostri cuccioli.
Grazie di tutto ...e se capiti dalle nostre parti fammelo sapere !!!
Saluti
Elisabetta

lunedì 22 giugno 2009

la riabilitazione non esiste

In questi ultimi giorni ho sentito tante di quelle aberrazioni che il mio unico pensiero è quello che la riabilitazione, semplicemente, non esiste. non esiste più o non è mai esistita, questo non lo so. so solo che lo schifo che devo sentire mi fa venire talmente la pelle d'oca che a volte non so quanto questa lotta che conduco contro i muri di gomma attraverso questo blog e attraverso il mio lavoro, per tentare di cambiare la mentalità generale, non sia una battaglia contro i mulini a vento.

questa settimana è venuta da me una famiglia con un bimbo di sei anni con una diagnosi di ritardo mentale e grave ritardo del linguaggio. vista l'età e quello che la mamma mi aveva detto per telefono ("non parla") mi aspettavo di trovare un bimbo con un ritardo cognitivo importante, con gravi problemi attentivi ed effettivamente un ritardo mentale ci poteva anche stare.
ho trovato davanti a me un bambino timidissimo, in attesa dell'ennesimo giudizio del tipo non fa questo, non fa quello; spaventato ed impaurito, ma assolutamente presente ed attento. la comprensione c'era, così come l'attenzione, la capacità di verificare l'errore, la capacità di modificarsi e cogliere i suggerimenti. ma il bimbo dice in tutto una ventina di parole, peraltro scarsamente intellegibili. c'è qualcosa che non torna: si sono messi tutti d'impegno per non farlo parlare, questo bimbo?!

la mamma è stanca, lo pungola in continuazione, lo anticipa nelle risposte, ed il bimbo è lì zitto zitto che mi guarda e mi risponde con lo sguardo alle domande che gli faccio.
faccio qualche domanda e chiedo: cosa fa in terapia? non l'avessi mai fatto, perchè scopro un baratro di aberrazioni:

- il centro, visto che in due anni e mezzo non è mai migliorato (e di chi è la colpa? lo scoprirò presto), e poichè il bambino "non collabora" (cosa?!?!), ha ben deciso di mandarlo a casa e lasciare spazio a bambini che possono migliorare (da soli, immagino).
- la psicologa (ah, quindi ha una laurea!) che lo segue ha dato questo geniale consiglio: signora, lei lo deve ignorare e fare finta di non sentirlo finchè non dice la parola detta bene. risultato: il bambino, ignorato nei suoi tentativi di comunicare, e già timido caratterialmente, ovviamente non parla più.
- questo genio della psicologia ha tirato fuori anche un'altra perla di saggezza: visto che il bimbo non vuole (e ne ha ben donde) andare in terapia, la mamma ha comunicato a questa professionista l'angoscia di dover continuamente dire al bambino cose tipo se ci vai ti compro questo, se sei bravo ti compro quello (niente di peggio sul piano formativo, ma l'unica speranza di riuscire a mandare un bambino intelligente in un posto dove viene ignorato!) ... e la risposta è stata signora, ma lei non lo sa che con i figli si va avanti a ricatti?

serve un commento?

con i capelli dritti e gli occhi di fuori, vado avanti e domando chi ha fatto la diagnosi di ritardo mentale, sulla quale non sono d'accordo, e la mamma mi tira fuori una serie di fogli dove sono scritte una valanga di cifre: tutti risultati di test quantitativi. scala Brunet-Lezine punteggio tot; test Peabody punteggio tot; scala Wish-R punteggio tot. e via dicendo. spiego alla mamma che questi test non sono attendibili perchè segnano sempre e solo con una serie di crocette "quello che non fa". il problema è che un bimbo può non rispondere o rispondere in modo errato per una marea di motivazioni diverse: non capisce il compito, ha problemi di analisi visiva, è timido e si vergogna, ha problemi di disprassia e visuolocalizzazione, è eminattento, è carente nella costruzione delle strategie per risolvere il compito, ha problemi di progettazione, ecc. ecc.
E' completamente inutile scrivere "non mette insieme quattro parti a formare una figura" se non sappiamo perchè non lo fa; peraltro in questo modo il punteggio può essere molto basso pur avendo il bambino buone capacità: ma se ha problemi di comprensione, e non capisce cosa deve fare, come possiamo dire "non lo sa fare"? sarebbe molto più onesto scrivere "non capisce la richiesta", ma questo significherebbe saper fare una valutazione decente delle capacità cognitive.

Dopo venti minuti il bambino si stacca dalla mamma (era rimasto in braccio fino a quel momento) e comincia a dire qualche parolina. sorride, è interattivo, si corregge. alla fine gli chiedo se si è divertito e mi dice "sì".
comunico alla mamma che questo bambino è molto bravo, e lei sfiduciata mi fa "dici? tutti quanti mi dicono di no".

io sono così sconvolta che non riesco neanche a comunicare il mio sdegno nei confronti di quanti sostengono di occuparsi di riabilitazione. si dovrebbero vergognare. rovinare un bambino, che a sei anni si trova, tra ricatti, gente che fa finta di non sentirlo e professionisti che dicono che è un ritardato, a non fidarsi di nessuno (e già questo dovrebbe essere una prova certa delle sue capacità intellettive). sfasciare una famiglia, riuscire a cancellare anche la spontanea interazione tra una madre e suo figlio, trasformandola in un'angosciante richiesta continua "come si dice questo? e dillo, dillo, dillo! dai, dì come si dice!" quando non addirittura nel tentativo (riuscito, dannazione a loro) di far sentire questo povero bambino trasparente: provo a comunicare con te, e tu mi ignori; i miei tentativi cadono nel vuoto, probabilmente nessuno ha voglia di sentire quello che dico, se non per dirmi quello che non so fare.
questo bambino medicalizzato fino all'esasperazione (financo la psicologa, gli hanno dato! e che psicologa!! se non ne aveva bisogno prima, sicuramente ne avrà bisogno ora, visto quello che gli ha fatto!) peraltro senza alcun risultato, questa madre esasperata dalle assurde richieste dei terapisti (ignoralo!), questo padre che mi chiede con angoscia, come se si trattasse di un bambino malato gravemente, ma c'è speranza? e tutta questa montagna di aberrazioni è stata costruita ad arte da coloro i quali si dovrebbero occupare di curare le persone, ed accompagnarle in un percorso un pò più difficile, ma sicuramente possibile.

no, io non ci sto. non posso accettarlo. questo dolcissimo bambino tornerà domani. e stavolta, giuro che una volta che il bimbo si sarà tranquillizzato, faccio i filmati. da ora, ai prossimi sei mesi: voglio proprio vedere cosa avranno il coraggio di dirmi.

ma oggi, eccone un'altra. mi chiama la mamma di un bimbo autistico, un piccolino di due anni e mezzo, diagnosticato a marzo. mi comunica che vuole portarmi il piccolo perchè ha avuto il mio contatto da un bravo neuropsichiatra con cui ho avuto una breve collaborazione in un progetto che ho poi volontariamente abbandonato per una serie di motivi.
La mamma mi racconta che la sua terapista prende il bambino, se lo mette in braccio con la forza (già, davvero piacevole, per un bimbo con autismo, essere preso in braccio contro la sua volontà!) e lo costringe a "giocare" mentre lui piange e urla tutto il tempo (che strano concetto del gioco, saranno degli studi di psicologia dello sviluppo che mi sono persa). al momento, il bambino appena vede questa macellaia, scappa e si mette a piangere. lei ovviamente commenta con un bel Eh signora, ma deve essere così!

posso solo augurare a questa gente, che del terapista ha solo l'etichetta attaccata sulla divisa, di essere costretta, in un'altra vita, in un girone infernale dove trovarsi legata, con un bavaglio alla bocca, in un paese dove i tentativi di comunicare il disagio per questa condizione vengano non ignorati, ma commentati con una bella risata ed uno sputo in faccia.

mercoledì 17 giugno 2009

Laura chiede: ho una tetraparesi e sono incinta, posso parttorire naturalmente o devo fare il cesareo?

Ciao,

Mi hanno detto che sei una brava fisioterapista e che mi puoi essere di aiuto per un mio dubbio.
Io ho la tetraparesi spastica neonatale, ora sono abbastanza autonoma in casa, cammino e riesco a svolgere i lavori domestici, facendomi aiutare solo nelle cose più delicate.
Sono sposata da 3 anni e mezzo ed ora sono felicemente in dolce attesa alla fine del terzo mese. La mia ginecologa giustamente si è posta un dubbio su un eventuale parto naturale, se potrei anche farlo o è meglio programmare il cesareo. Visto che il mio danno è stato nel momento della nascita, vorrei evitare problemi.
Io ho il respiro un po' più corto della norma e per questo faccio a casa degli esercizi di respirazione, oltre a dello stretching che mi sta aiutando tantissimo per dei dolori di sciatica che avevo. Avendo sempre fatto terapia fin da piccolissima sono abituata!
Per la tua esperienza, mi puoi dare qualche suggerimento riguardo il parto? Conosci qualche altra mamma spastica? Mi piace entrare in contatto con altre mamme come me.
Spero che mi puoi dare dei suggerimenti.
Ciao a presto Laura

Cara Laura, intanto auguroni per la dolce attesa! Dare alla luce un figlio è ovviamente il coronamento di un sogno per ogni donna (o quasi), ed ovviamente il parto è un momento decisivo. l'Italia è uno dei paesi con il più alto numero di cesarei al mondo: questo da un lato va contro la Natura, che potrebbe risolvere da sè moltissimi problemi; dall'altra va a favore dei medici che in questo modo possono programmarsi i turni e le ferie. Di mio come avrai capito non sono pro-cesareo a tutti i costi, ma nel tuo caso, sebbene non conosca personalmente la gravità della tua condizione (a questo punto ritengo si tratti di una PCI lieve) devo farti delle considerazioni:

in primis, nelle tetraparesi si riscontra sempre una difficoltà percettiva a vari livelli, soprattutto di tipo tattile cinestesico. in sostanza la difficoltà starebbe nel capire effettivamente quali muscoli utilizzare e quali rilasciare (cosa che si verifica, per dire, anche nel cammino), come fare in modo che questo accada e come utilizzarli "selettivamente". la respirazione superficiale di cui parli è un'incapacità ad utilizzare qualitativamente anche il muscolo diaframma, utilizzando (probabilmente anche irradiando) i muscoli accessori della respirazione (sternocleidomastoidei, intercostali, ecc.): questo si verifica per quasi tutti i distretti, quindi anche i muscoli del piano perineale, che sono quelli coinvolti nel parto (e che si "esercitano" nel corso preparto) potrebbero risultare "difficili da gestire" soprattutto in un momento dove bisogna avere una maggiore consapevolezza del proprio corpo pur nel dolore.
l'irradiazione e la RAAS inoltre renderebbero probabilmente molto molto difficoltoso mantenere gli adduttori rilasciati mentre si spinge - ammesso che tu ci riesca, a spingere: se sommiamo i disturbi percettivi alla peridurale, probabilmente la coscienza della parte inferiore del corpo e di come gestirla si ridurrebbe a zero. Con la peridurale infatti elimineresti alcuni problemi ma ti ritroveresti a non poter aiutare il bimbo, che si troverebbe a dover fare praticamente tutto da solo: se ci sono problemi, in qualche modo lo dovranno tirare fuori, con i mezzi a disposizione.

il mio consiglio (che è una opinione assolutamente personale) è un cesareo programmato: probabilmente potresti anche partorire naturalmente, ma con il lavoro che faccio, mi sento di consigliarti di evitare ogni problema possibile. è vero che è un intervento con un decorso post operatorio eccetera, ma tenendo conto delle difficoltà che comporta una tetraparesi spastica, se io fossi in te preferirei addentrarmi nella certezza di un decorso post-cesareo piuttosto che nell'incertezza di non saper come gestire il mio corpo in un momento simile. comunque senti la tua ginecologa, se ti propone qualche opzione.

quanto alle mamme, io ho personalmente conosciuto una donna meravigliosa, diventata madre molti anni dopo una lesione midollare cervicale (quindi una tetraplegia incompleta): i problemi in quel caso erano diversi dai tuoi (non un problema cerebrale, ma midollare), ma tutto era andato liscio. se vuoi incontrare altre mamme come te, ti consiglio i vari forum sulla disabilità (ce ne sono diversi): con ogni probabilità potrai incontrare persone che hanno avuto la tua stessa esperienza.

auguroni!

il neuropsicomotricista chiede: qual'è il percorso di formazione per diventare terapista neurocognitivo?

Ciao Fabiana,
mi chiamo Piergiorgio , e sono un TNPEE, un neuropsicomotricista dell'età evolutiva, da poco più di sei mesi (pur avendo 38 anni, vocazione tardiva la mia, maturata nel corso della mia esperienza di papà di 3 bimbi perennemente insoddisfatto delle professioni precedenti...).
La mia professione ha questo nome assurdo, cervellotico, che già indica il papocchio all'italiana che è stato fatto per creargli un profilo professionale...
Ho letto il tuo post del 23 Ottobre 2008 in cui spieghi che ti senti più terapista neurocognitiva che fisioterapista, e vorrei collegarmi alle tue parole.
Ti dico subito che sono molto d'accordo con te e con la tua visione dell'esigenza di un terapista unico per il trattamento dell'infanzia, ed in questo senso sento su di me neuropsicomotricista la stessa responsabilità che tu, come fisioterapista, senti nei confronti dei bambini che tratti: impegno, dedizione, studio, consapevolezza della complessità della realtà che si va' ad affrontare nell'incontro con una persona, per di più in formazione. Insomma io mi ci sento profondamente nella condizione in cui, se farò le scelte giuste in termini di formazione (perché l'università in questo ha lasciato molto a desiderare...) e non mi fermo all'acquisito, sono convinto di poter diventare sempre di più quel terapista dell'età evolutiva che sostiene in modo globale e complessivo, lo sviluppo funzionale del bambino. E' vero come dici tu che i neuropsicomotricisti esistono solo da noi in quanto tali, ed è anche vero che facciamo fatica a trovare una nostra specificità professionale che ci permetta di svincolarci dalla concorrenza (creata da chi ha ideato il profilo) di altre professioni sanitarie, ma ci siamo adesso, e siamo almeno in parte ragazzi che hanno scelto una professione specifica, quella del lavoro con l'età evolutiva, partendo dalla più o meno cosciente convinzione di avere a che fare con un essere bambino nei confronti del quale avere specifiche competenze di tipo evolutivo (i famosi profili di sviluppo...), relazionale e psicomotorio.

Ora stendiamo un velo pietoso sulla reale formazione che abbiamo ricevuto all'università in questi ambiti che avrebbero dovuto essere la nostra specificità. Quello che mi interessa sostenere con te è che secondo me nell'attuale ordinamento fisioterapisti e neuropsicomotricisti saranno sempre due cose diverse nella formazione iniziale, ma poi senza etichette un terapista che si forma e studia ponendo in atto determinate strategie è un terapista e basta: ci può essere cioé secondo me una sovrapposizione, chiamala pure convergenza, tra chi è partito da un punto e chi da un altro, perché l'uno può arricchirsi delle specificità dell'altro, senza creare steccati virtuali che poco hanno poi a che fare con la realtà quotidiana.
Mi interessa chiederti questo: ho visto che il corso introduttivo della tua associazione che si è svolto il mese scorso era rivolto solamente a fisioterapisti. Significa che noi neuropsicomotricisti siamo esclusi dal poter apprendere l'ETC?
Te lo chiedo perché come tu ami definirti terapista neurocognitiva, mi piace immaginarmi in un prossimo futuro così, come terapista neurocognitivo, specifico dell'età evolutiva.
E' un progetto irrealizzabile per me quello di poter svolgere una completa formazione neurocognitiva?
Ti ringrazio ed aspetto fiducioso una tua risposta
piergiorgio

Carissimo collega,
pubblico con estremo piacere questa domanda che per molti aspetti coglie e centra in pieno il "succo" delle problematiche che come terapisti neurocognitivi (che in particolare si occupano di formazione) ci stiamo ponendo.
l'ordinamento universitario continua a formare (e lo metto in corsivo perchè la formazione a mio avviso è un'altra cosa) professioni iperspecializzate sulla carta: psicologo che si occupa delle funzioni cognitive, fisioterapista che tratta "il motorio", logopedista che tratta il linguaggio, tnpee che tratta i problemi relazionali, terapista occupazionale che tratta l'autonomia, e nessuno che tratta il bambino. al primo anno di università (per mia fortuna la mia scuola era all'epoca VERAMENTE formativa in questo senso) ci spiegarono la differenza tra un sistema complicato (dove l'insieme è costituito dalla somma delle componenti) ed un sistema complesso (dove la somma delle componenti non dà il risultato d'insieme, che è invece costituito dalle relazioni variabili che le diverse parti intrattengono): quest'ultimo caso è quello del sistema-Uomo (o sistema-bambino, che dir si voglia), e quindi sul piano metodologico un trattamento settoriale dove non si tenga presente che il linguaggio, la memoria, l'attenzione, la percezione, il movimento, la capacità di risolvere problemi e via dicendo sono tutti processi cognitivi che insieme danno come risultato il comportamento è completamente inutile.
è inutile tentare di migliorare la presa se la coordinazione oculo manuale o anche solo la fissazione sono deficitarie,se il bimbo ha problemi tattili e la mano non se la guarda neanche, possiamo mettergli in mano duecento oggetti diversi, non li prenderà MAI. richiedere duecento volte la stessa cosa non fa apprendere il bambino, al limite lo può addestrare (nei casi fortunati), ma se la richiesta varierà anche solo di poco, il bimbo non sarà in grado di soddisfarla. è inutile continuare a ripetere che i disturbi del linguaggio sono "non parla", "parla poco", se il bambino non guarda, non indica, se il bambino non condivide l'esperienza con l'adulto (che non significa semplicemente stare lì e ridere), se non imita, ecc. Ancora più inutile continuare ad insistere a cercare di "tirare su" la testa ciondolante di un bimbo che non guarda, che non fissa, non insegue, che non interagisce in maniera adeguata.
E' scandaloso continuare a sostenere che "prima dei tre anni non si può fare logopedia", semplicemente perchè un lavoro globale davvero, e questo nei bambini piccoli è ancora più evidente, si occupa di tutto: motorio e cognitivo sono la stessa cosa, ed i prerequisiti del linguaggio vanno trattati, altrimenti ci si ritrova a dire, dopo pochissimi anni, da che era "troppo presto", un bel "è troppo tardi". non indicherà mai, se quella mano non sa neanche di averla.
si giustificano tutti questi "trattamenti" settoriali con i risultati (spesso molto, molto scadenti) che si tirano fuori da questi bambini, anche quando (e ciò accade molto spesso) si tratta di riorganizzazione spontanea o anche di "addestramento alla richiesta" più che apprendimento. Quando le cose vanno male però, ovviamente la colpa è sempre del bambino, della patologia, della mamma, della scuola, del macellaio sotto casa. e si rimedia con "accrocchi" tipo tutori, interventi chirurgici, botulini vari, sistemi di comunicazione alternativi dove al bambino viene solo proposta una scelta tra un tot di possibilità imparate a memoria. un'altra possibilità è continuare a trattare il bambino a mò di parcheggio nonostante l'evidenza dell'inutilità della terapia; la terza alternativa è che semplicemente si dice che il bambino non migliora più, lasciamo spazio ad altri che possono migliorare. il succo è che il terapista non si mette mai davvero in discussione, ma continua, e continua, e continua a fare quello che ha sempre fatto.

sul piano della formazione, nonostante le neuroscienze ci dicano tutt'altro, gli ambiti professionali continuano a rimanere separati, come se il bimbo si potesse spezzettare, con il risultato di avere un trattamento che di "globale" ha solo il nome (lo slogan "sistemico-globale-olistico" funziona sempre, anche se nella realtà trattare un bambino in modo assolutamente settoriale costituisce sul piano metodologico l'esatto contrario), anche perchè il fantomatico lavoro di equipe nel 90% non è di equipe neanche un pò, si tratta solo di dieci terapisti che trattano un bambino solo ognuno col suo pezzetto (e spesso con approcci discordanti). il risultato è un bimbo semi-schizofrenico, che si "adatta" al terapista di turno.
il terapista, dal canto suo, è costretto a pagare fior di quattrini corsi iper settoriali (tale o tal altra malattia, tale o tal altro distretto anatomico, tale o tal altra sequenza di manovre): la cultura riabilitativa semplicemente non esiste - testimoniato dal fatto che praticamente non esistono, a parte Il caso clinico riabilitativo: la narrazione romantica di Stefano Gusella, libri scritti da terapisti sulla riabilitazione (e NON sull'ennesima manovra o ennesima reinterpretazione rispolverata della chinesiologia). nelle scuole ormai insegnano solo medici, e non c'è studio delle scienze di base che invece sono fondamentali, nè dell'Uomo e della persona.
la formazione del terapista neurocognitivo è veramente un percorso difficile, e lo dico con cognizione di causa perchè è il percorso che ho seguito e continuo a seguire. il corso base e anche quello di primo livello sono veramente solo un aprire una finestra microscopica su un panorama sconfinato: si tratta di percorsi di ANNI, dove si vede necessaria la scelta di una persona esperta che ti segua, che controlli e supervisioni il lavoro, che ti dica inizialmente cosa studiare, che ti controlli le cartelle riabilitative (per imparare a scriverne una in autonomia io ci ho messo tre anni di lavoro, ed ero più che supervisionata); è necessario continuare ad aggiornarsi con i convegni annuali di riabiltazione neurocognitiva e con i corsi monografici; partecipare ai gruppi di studio e circondarsi di persone che vogliano studiare e non semplicemente "imparare altre nozioni".
è difficile? sì. non posso certo dire che sia facile come fare un corso dove impari quattro manovre da ripetere su tutti i pazienti con X patologia.
è impossibile? no: basta studio impegno e voglia di incontrare i tuoi pazienti.
è soddisfacente? lo leggi negli occhi dei tuoi pazienti e dei loro genitori.
è remunerativo? dipende da quanto etico consideri il tuo lavoro: nel mio caso, nonostante lavori privatamente, decisamente non diventerò mai ricca. per diventare ricchi come terapisti, bisogna scegliere tutt'altra strada.
quello che noi proponiamo come associazione è questo: tutte le figure che si occupano di neuroscienze e/o riabilitazione possono iscriversi e partecipare ai corsi, ai gruppi di studio ed agli aggiornamenti. si tratta di un percorso entusiasmante anche se decisamente faticoso sul piano intellettuale e dell'impegno, ma la differenza è palese. Proponiamo i corsi a tutti gli interessati (l'anno scorso il corso l'ha fatto anche la mamma di una bimba che seguo ormai da sei anni) perchè ci siamo resi conto proprio di quello che tu sostieni: non ci si può rivolgere ad una X figura professionale se vogliamo davvero che questo approccio sia globale e sistemico davvero. Non importa cosa tu sia sulla carta, l'importante è come ti approcci, come osservi, come intepreti il tuo paziente. l'ETC non è una metodica, è un modo di vedere l'Uomo, ma anche la Vita.
La speranza è che presto si riesca a costruire una scuola di riabilitazione neurocognitiva a cui possano accedere tutte le professioni inerenti la riabilitazione: nel frattempo, facciamo il possibile per andare avanti meglio che possiamo.

venerdì 5 giugno 2009

Ricominciamo con i mini-cicli?

Dopo qualche tentennamento e qualche decisione lavorativa presa, e visto che continuo ad essere contattata per i mini-cicli (che negli ultimi mesi ho rifiutato) da moltissimi genitori, ho deciso di ricominciare a spostarmi per valutare bambini in giro per l'Italia, ma con una differente modalità.
Gli spostamenti per me sono veramente molto faticosi, visto che devo portarmi appresso praticamente tutto lo studio in termini di materiale; poichè non ritengo giusto far pagare una cifra esorbitante (non che prima lo fosse) ad una sola famiglia tra spostamenti e trattamenti, da ora, chi desiderasse una valutazione od un ciclo di trattamento, mi può contattare alla mia e-mail specificando in quale regione si trova. una volta raggiunto il numero minimo di cinque bambini nella stessa città o regione, ci si può organizzare una volta trovata la location (mi basta una stanza piccola dove possibilmente ci sia un lettino) e una stanza per dormire da qualche parte (in genere vengo ospitata da una famiglia tra quelle interessate).

in questo momento un papà sta organizzando un ciclo di due settimane per Luglio in Emilia Romagna, dunque se volete potete contattarmi per avere il telefono di questo papà: sarà possibile fare una valutazione di tre sedute, o terapia tutti i giorni (una o due ore, dipende dal numero dei bambini e dal bambino stesso) per tutte le due settimane.
a Settembre invece, sarò a Torino per due o tre giorni: una mamma sta organizzando una valutazione per alcuni bambini, per cui se siete di quelle parti e voltete "partecipare" con il vostro bimbo, potete contattarmi e vi darò il numero di questa mamma.
Se volete una valutazione nella vostra regione, provate a contattarmi (email o telefono), lasciandomi un vostro contatto; quando si dovesse raggiungere un numero di bambini sufficiente, ci potremo organizzare per l'eventuale mini-ciclo.

lunedì 1 giugno 2009

un commento al post sulla Florida...

Pubblico con molto piacere questo commento di una mamma, al post sugli aspetti etici dei viaggi della speranza in Florida, perchè ritengo che abbia centrato in pieno qual'è il "succo" della questione: la necessità di restituire dignità, affetti, emozioni, personalità a questi bambini. la tutela della persona che non può tutelarsi da sè spetta proprio a noi, genitori, terapisti, insegnanti, attraverso le scelte e le strade che scegliamo di perseguire per questi bambini: dobbiamo renderci conto che alcune scelte ledono i diritti di queste persone, il diritto al gioco, ad un'infanzia "da bambino" e non da "macchina", il diritto alla vita dignitosa, all'affetto incondizionato, il diritto all'accettazione della personalità del bambino. stiamo attenti a quello che facciamo e a quello che scegliamo per questi bambini: il fatto che in molti casi non possano parlare o dirci "tu così mi stai facendo del male" non giustifica alcune scelte decisamente discutibili. non ci nascondiamo dietro al dito del "è per il suo bene": il "suo bene" è quello che lo rende una persona più felice, non quello che promette (giusto la promessa, perchè quanto a realtà siamo ben distanti) di farlo diventare quello che non è contro la sua stessa volontà.

Grazie Fabiana per questo utilissimo lavoro che fa chiarezza su un argomento così difficile e delicato. Quanto è vero il fatto che noi genitori siamo lasciati soli e non accompagnati in questo difficile percorso! L’esperienza che facciamo comunemente è quella di trovarsi di fronte un medico – ma in realtà sono tanti – che ti scarica addosso con freddo distacco il macigno di una diagnosi incomprensibile, parole che svuotate di significato perché non comprese diventano inaccettabili… e così la disabilità diventa qualcosa da cancellare alla ricerca spasmodica di una “normalità” irraggiungibile che farà passare in secondo piano tutto il resto, la vita, gli affetti, le relazioni, la dignità, l’unione familiare…

Ma la disabilità non si può cancellare, perché come tu spesso scrivi, centrando appieno il problema, non c’è nulla da “aggiustare”.
Il potere medico ci mostra che la malattia è anormalità, è qualcosa di intollerabile, ma in realtà proprio come ognuno di noi è un essere unico per tutta una serie di caratteristiche quel bambino, il nostro bambino, è unico così com’è. Questo è ben lungi da una rassegnazione passiva di quella che troppo spesso si vive solo come un’immane tragedia, ma è un passo a mio parere fondamentale perché l’obiettivo diventi l’azione finalizzata alla ricerca del modo più giusto per aiutare quel bambino specifico nelle sue specifiche difficoltà. Perché quando guardiamo il nostro bambino non vediamo una disabilità ma semplicemente nostro figlio. Quello su cui bisogna puntare, e penso che tu con i tuoi interventi e il tuo lavoro stia dando un contributo magistrale, è cambiare la mentalità comune per cui un bambino con disabilità è un’infelice disgraziato che non ha desideri, volontà, intenzionalità e soprattutto dignità.
Ecco allora che lo smarrimento di fronte ad una situazione, a cui inevitabilmente non si è preparati, lascerà il posto ad una lucida intenzione di fare il meglio per quel bambino che si concretizzerà nella ricerca di un approccio sensato che non pretenda di “riportare” quel bambino alla normalità a tutti i costi ma che si adoperi perché quel bambino, pur tra mille difficoltà, possa essere un bimbo felice, sereno e amato e tirar fuori il meglio di sé; perché diventi quello che può essere e non quello che noi vorremmo che fosse.
Solo così forse non si vedranno più bambini legati ad una statica o imbracati in tutine per rispondere all’illusorio desiderio dei genitori di vedere finalmente il proprio bambino in piedi, o magari bambini che hanno sviluppato tutta una serie di mostruose deformità perché costretti a camminare utilizzando schemi patologici. Sembrerà un’utopia ma mi piace pensare che l’utopia non sia un non luogo ma l’eu- topos, un buon luogo da costruire anche se con un’enorme fatica dove i diritti e la dignità di ciascuno siano al primo posto al di là di tutto.