mercoledì 17 giugno 2009

il neuropsicomotricista chiede: qual'è il percorso di formazione per diventare terapista neurocognitivo?

Ciao Fabiana,
mi chiamo Piergiorgio , e sono un TNPEE, un neuropsicomotricista dell'età evolutiva, da poco più di sei mesi (pur avendo 38 anni, vocazione tardiva la mia, maturata nel corso della mia esperienza di papà di 3 bimbi perennemente insoddisfatto delle professioni precedenti...).
La mia professione ha questo nome assurdo, cervellotico, che già indica il papocchio all'italiana che è stato fatto per creargli un profilo professionale...
Ho letto il tuo post del 23 Ottobre 2008 in cui spieghi che ti senti più terapista neurocognitiva che fisioterapista, e vorrei collegarmi alle tue parole.
Ti dico subito che sono molto d'accordo con te e con la tua visione dell'esigenza di un terapista unico per il trattamento dell'infanzia, ed in questo senso sento su di me neuropsicomotricista la stessa responsabilità che tu, come fisioterapista, senti nei confronti dei bambini che tratti: impegno, dedizione, studio, consapevolezza della complessità della realtà che si va' ad affrontare nell'incontro con una persona, per di più in formazione. Insomma io mi ci sento profondamente nella condizione in cui, se farò le scelte giuste in termini di formazione (perché l'università in questo ha lasciato molto a desiderare...) e non mi fermo all'acquisito, sono convinto di poter diventare sempre di più quel terapista dell'età evolutiva che sostiene in modo globale e complessivo, lo sviluppo funzionale del bambino. E' vero come dici tu che i neuropsicomotricisti esistono solo da noi in quanto tali, ed è anche vero che facciamo fatica a trovare una nostra specificità professionale che ci permetta di svincolarci dalla concorrenza (creata da chi ha ideato il profilo) di altre professioni sanitarie, ma ci siamo adesso, e siamo almeno in parte ragazzi che hanno scelto una professione specifica, quella del lavoro con l'età evolutiva, partendo dalla più o meno cosciente convinzione di avere a che fare con un essere bambino nei confronti del quale avere specifiche competenze di tipo evolutivo (i famosi profili di sviluppo...), relazionale e psicomotorio.

Ora stendiamo un velo pietoso sulla reale formazione che abbiamo ricevuto all'università in questi ambiti che avrebbero dovuto essere la nostra specificità. Quello che mi interessa sostenere con te è che secondo me nell'attuale ordinamento fisioterapisti e neuropsicomotricisti saranno sempre due cose diverse nella formazione iniziale, ma poi senza etichette un terapista che si forma e studia ponendo in atto determinate strategie è un terapista e basta: ci può essere cioé secondo me una sovrapposizione, chiamala pure convergenza, tra chi è partito da un punto e chi da un altro, perché l'uno può arricchirsi delle specificità dell'altro, senza creare steccati virtuali che poco hanno poi a che fare con la realtà quotidiana.
Mi interessa chiederti questo: ho visto che il corso introduttivo della tua associazione che si è svolto il mese scorso era rivolto solamente a fisioterapisti. Significa che noi neuropsicomotricisti siamo esclusi dal poter apprendere l'ETC?
Te lo chiedo perché come tu ami definirti terapista neurocognitiva, mi piace immaginarmi in un prossimo futuro così, come terapista neurocognitivo, specifico dell'età evolutiva.
E' un progetto irrealizzabile per me quello di poter svolgere una completa formazione neurocognitiva?
Ti ringrazio ed aspetto fiducioso una tua risposta
piergiorgio

Carissimo collega,
pubblico con estremo piacere questa domanda che per molti aspetti coglie e centra in pieno il "succo" delle problematiche che come terapisti neurocognitivi (che in particolare si occupano di formazione) ci stiamo ponendo.
l'ordinamento universitario continua a formare (e lo metto in corsivo perchè la formazione a mio avviso è un'altra cosa) professioni iperspecializzate sulla carta: psicologo che si occupa delle funzioni cognitive, fisioterapista che tratta "il motorio", logopedista che tratta il linguaggio, tnpee che tratta i problemi relazionali, terapista occupazionale che tratta l'autonomia, e nessuno che tratta il bambino. al primo anno di università (per mia fortuna la mia scuola era all'epoca VERAMENTE formativa in questo senso) ci spiegarono la differenza tra un sistema complicato (dove l'insieme è costituito dalla somma delle componenti) ed un sistema complesso (dove la somma delle componenti non dà il risultato d'insieme, che è invece costituito dalle relazioni variabili che le diverse parti intrattengono): quest'ultimo caso è quello del sistema-Uomo (o sistema-bambino, che dir si voglia), e quindi sul piano metodologico un trattamento settoriale dove non si tenga presente che il linguaggio, la memoria, l'attenzione, la percezione, il movimento, la capacità di risolvere problemi e via dicendo sono tutti processi cognitivi che insieme danno come risultato il comportamento è completamente inutile.
è inutile tentare di migliorare la presa se la coordinazione oculo manuale o anche solo la fissazione sono deficitarie,se il bimbo ha problemi tattili e la mano non se la guarda neanche, possiamo mettergli in mano duecento oggetti diversi, non li prenderà MAI. richiedere duecento volte la stessa cosa non fa apprendere il bambino, al limite lo può addestrare (nei casi fortunati), ma se la richiesta varierà anche solo di poco, il bimbo non sarà in grado di soddisfarla. è inutile continuare a ripetere che i disturbi del linguaggio sono "non parla", "parla poco", se il bambino non guarda, non indica, se il bambino non condivide l'esperienza con l'adulto (che non significa semplicemente stare lì e ridere), se non imita, ecc. Ancora più inutile continuare ad insistere a cercare di "tirare su" la testa ciondolante di un bimbo che non guarda, che non fissa, non insegue, che non interagisce in maniera adeguata.
E' scandaloso continuare a sostenere che "prima dei tre anni non si può fare logopedia", semplicemente perchè un lavoro globale davvero, e questo nei bambini piccoli è ancora più evidente, si occupa di tutto: motorio e cognitivo sono la stessa cosa, ed i prerequisiti del linguaggio vanno trattati, altrimenti ci si ritrova a dire, dopo pochissimi anni, da che era "troppo presto", un bel "è troppo tardi". non indicherà mai, se quella mano non sa neanche di averla.
si giustificano tutti questi "trattamenti" settoriali con i risultati (spesso molto, molto scadenti) che si tirano fuori da questi bambini, anche quando (e ciò accade molto spesso) si tratta di riorganizzazione spontanea o anche di "addestramento alla richiesta" più che apprendimento. Quando le cose vanno male però, ovviamente la colpa è sempre del bambino, della patologia, della mamma, della scuola, del macellaio sotto casa. e si rimedia con "accrocchi" tipo tutori, interventi chirurgici, botulini vari, sistemi di comunicazione alternativi dove al bambino viene solo proposta una scelta tra un tot di possibilità imparate a memoria. un'altra possibilità è continuare a trattare il bambino a mò di parcheggio nonostante l'evidenza dell'inutilità della terapia; la terza alternativa è che semplicemente si dice che il bambino non migliora più, lasciamo spazio ad altri che possono migliorare. il succo è che il terapista non si mette mai davvero in discussione, ma continua, e continua, e continua a fare quello che ha sempre fatto.

sul piano della formazione, nonostante le neuroscienze ci dicano tutt'altro, gli ambiti professionali continuano a rimanere separati, come se il bimbo si potesse spezzettare, con il risultato di avere un trattamento che di "globale" ha solo il nome (lo slogan "sistemico-globale-olistico" funziona sempre, anche se nella realtà trattare un bambino in modo assolutamente settoriale costituisce sul piano metodologico l'esatto contrario), anche perchè il fantomatico lavoro di equipe nel 90% non è di equipe neanche un pò, si tratta solo di dieci terapisti che trattano un bambino solo ognuno col suo pezzetto (e spesso con approcci discordanti). il risultato è un bimbo semi-schizofrenico, che si "adatta" al terapista di turno.
il terapista, dal canto suo, è costretto a pagare fior di quattrini corsi iper settoriali (tale o tal altra malattia, tale o tal altro distretto anatomico, tale o tal altra sequenza di manovre): la cultura riabilitativa semplicemente non esiste - testimoniato dal fatto che praticamente non esistono, a parte Il caso clinico riabilitativo: la narrazione romantica di Stefano Gusella, libri scritti da terapisti sulla riabilitazione (e NON sull'ennesima manovra o ennesima reinterpretazione rispolverata della chinesiologia). nelle scuole ormai insegnano solo medici, e non c'è studio delle scienze di base che invece sono fondamentali, nè dell'Uomo e della persona.
la formazione del terapista neurocognitivo è veramente un percorso difficile, e lo dico con cognizione di causa perchè è il percorso che ho seguito e continuo a seguire. il corso base e anche quello di primo livello sono veramente solo un aprire una finestra microscopica su un panorama sconfinato: si tratta di percorsi di ANNI, dove si vede necessaria la scelta di una persona esperta che ti segua, che controlli e supervisioni il lavoro, che ti dica inizialmente cosa studiare, che ti controlli le cartelle riabilitative (per imparare a scriverne una in autonomia io ci ho messo tre anni di lavoro, ed ero più che supervisionata); è necessario continuare ad aggiornarsi con i convegni annuali di riabiltazione neurocognitiva e con i corsi monografici; partecipare ai gruppi di studio e circondarsi di persone che vogliano studiare e non semplicemente "imparare altre nozioni".
è difficile? sì. non posso certo dire che sia facile come fare un corso dove impari quattro manovre da ripetere su tutti i pazienti con X patologia.
è impossibile? no: basta studio impegno e voglia di incontrare i tuoi pazienti.
è soddisfacente? lo leggi negli occhi dei tuoi pazienti e dei loro genitori.
è remunerativo? dipende da quanto etico consideri il tuo lavoro: nel mio caso, nonostante lavori privatamente, decisamente non diventerò mai ricca. per diventare ricchi come terapisti, bisogna scegliere tutt'altra strada.
quello che noi proponiamo come associazione è questo: tutte le figure che si occupano di neuroscienze e/o riabilitazione possono iscriversi e partecipare ai corsi, ai gruppi di studio ed agli aggiornamenti. si tratta di un percorso entusiasmante anche se decisamente faticoso sul piano intellettuale e dell'impegno, ma la differenza è palese. Proponiamo i corsi a tutti gli interessati (l'anno scorso il corso l'ha fatto anche la mamma di una bimba che seguo ormai da sei anni) perchè ci siamo resi conto proprio di quello che tu sostieni: non ci si può rivolgere ad una X figura professionale se vogliamo davvero che questo approccio sia globale e sistemico davvero. Non importa cosa tu sia sulla carta, l'importante è come ti approcci, come osservi, come intepreti il tuo paziente. l'ETC non è una metodica, è un modo di vedere l'Uomo, ma anche la Vita.
La speranza è che presto si riesca a costruire una scuola di riabilitazione neurocognitiva a cui possano accedere tutte le professioni inerenti la riabilitazione: nel frattempo, facciamo il possibile per andare avanti meglio che possiamo.

2 commenti:

Piergiorgio ha detto...

Di certo non mi aspetterete invano...
Penso che comunque mi iscriverò per il 2010, visto che ormai siamo a Luglio...
Ma è possibile venire a trovarvi, a curiosare nel vostro mondo, nella vostra biblioteca...anche prima di essere iscritti? Anche adesso, tra Giugno e Luglio?

Grazie della risposta: se sei in buona fede e scrivi il vero è entusiasmante ciò che sostieni (anche la polemica sui corsi costosi e il non diventare ricchi...), io mi ci ritrovo in pieno, nel mio piccolo di "neonato" terapista. Non vi mollo...

ninnallegra ha detto...

Ciao Piergiorgio, certo puoi venire (anzi, io sono ben contenta di conoscerti!) ma ti conviene telefonarmi per prendere un appuntamento, non ci siamo tutti i giorni, soprattutto ora che è cominciato il periodo estivo. ti aspetto allora!