mercoledì 25 febbraio 2009

la mamma chiede: nistagmo, controllo del tronco, attività bimanuale, come lavorare?


Buongiorno.
Sono la mamma di un bambino con la sindrome di Down nato il 23/03/2008 alla 31ma settimana di gestazione per improvvisa sofferenza fetale. La sua salute generale è buona.
Le scrivo dopo aver letto le sue risposte ad altri genitori che le chiedevano un parere per la questione del controllo del capo e del tronco, in particolare quella sull'esercizio visivo.
M. (questo è il nome del mio bimbo) ha contro anche il suo essere nato prematuro e quindi la sua struttura fisica (che però recupera alla grande) ancora un po' leggerina. E' attualmente seguito a Monza dove è nato e mi sembra di poter essere soddisfatta del percorso fatto finora perchè si è badato alla individualità e specificità sua e anche alla globalità della sua persona. Abbiamo appena concluso una serie di osservazioni psicomotorie per valutare un apparente nistagmo; però sia su opinione dell'oculista sia in seguito alle osservazioni stesse è stato attribuito il movimento oscillatorio orizzontale ad una immaturità visiva (fissa ma mantiene ancora poco lo sguardo sull'oggetto) e al controllo del tronco ancora imperfetto, che però è in corso di forte miglioramento. Gli ho costruito una seggiolina per aiutarlo a controllare busto e testa e preparato una serie di giochi stimolanti visivamente e uditivamente, per aiutarlo nella iniziale localizzazione e stiamo giocando su questi aspetti (inseguimento, fissazione, variazione della distanza etc).

E 'invecebuonissima l'interazione con le persone (segue lo sguardo e 'dialoga', segue i fratelli che si muovono nella stanza, rifiuta ostinatamente lo sguardo se è indispettito per qualche motivo (e sono sicura che l'operazione è volontaria perchè avviene in pochi, circoscritti e motivati casi)). In questi giorni ha ricominciato a manipolare gli oggetti (aveva smesso per un emergente problema di reflusso che lo ha inibito nel prendere e portare alla bocca, ora in trattamento) iniziando ad osservarli.

Effettivamente la capacità di fissazione è migliorata in queste condizioni e i suoi occhi sono molto più stabili nel guardare e comincia a passare gli oggetti da mano a mano, cosa che non aveva
mai fatto se non per caso.


Le scrivo per chiederle se esiste qualche centro o qualche persona che condivide il suo stesso metodo nei dintorni di Bollate (provincia di Milano) cui poterci rivolgere nel caso in cui mutassero le condizioni in cui M. è seguito, dato che probabilmente ci dovremo appoggiare a strutture territoriali più vicine a noi delle quali non so ancora l'affidabilità.


Grazie infinitamente anche per il suo prezioso lavoro di cui abbiamo già beneficiato di riflesso.


C.


Cara C,


intanto le dico che Milano è una zona un pò problematica. nonostante in molti abbiano fatto il corso, conosco solo qualche terapista che ha continuato con l'ETC (fare semplicemente il corso non rende in alcun modo in grado di impostare un trattamento autonomamente, e penso di poterlo dire con cognizione di causa), ma purtroppo al momento si occupano tutti di trattamento degli adulti. se lei riuscisse a trovare qualcuno disposto ad imparare e a farsi "seguire" da un docente o qualcuno esperto, già sarebbe comunque qualcosa. mi rendo conto di non essere molto d'aiuto, ma purtroppo non siamo in tanti a lavorare in questo modo: dove posso e conosco, invio bambini a terapisti di cui sono sicura, ma se non sono sicura di come il terapista lavora, preferisco evitare. nel caso di Milano putroppo,mi trova in serie difficoltà nel consigliarle qualcuno.


comunque, per quanto riguarda il suo bambino:


il nistagmo è sì un problema visivo, ma sinceramente non mi sento proprio di chiamarlo un problema di "immaturità visiva" (nel senso "quando crescerà migliorerà, il problema è nella prematurità "): nel suo caso (prematurità e SDD) io lo attribuirei a deficit di fissazione, di inseguimento, di attenzione visiva, di coordinazione occhio mano, coordinazione occhio capo, frammentazione dei movimenti oculari dai movimenti del capo, e via dicendo. il controllo del tronco che non è ancora buono non è concausa in sè del nistagmo (se fosse così, un bambino sano di 4 mesi dovrebbe allora avere nistagmo?).


io lavorerei con sussidi tridimensionali di tipo tattile, possibilmente bianchi e neri, da esplorare con la vista, con le mani ma anche con i piedi (magari parallelepipedi con facce di superfici diverse); e cominciare a lavorare sulla costruzione di categorie (es. ruvido/morbido); inoltre farei un lavoro per la comprensione del gesto dell'indicazione dell'adulto; lavorerei sull'anticipazione con giochi interattivi con introduzione di variabili (ad es. gioco del cucù con un pannello da cui sbuca un pupazzetto una volta da destra, una da sinistra, poi dall'alto, poi dal basso, oppure cambia il pupazzo, oppure sbuca il volto dell'adulto) per suscitare l'interesse e la comprensione del fattore "novità", la ricerca del "nascosto". sarebbe auspicabile lavorare sull'alternanza dello sguardo perchè in assenza del comportamento di verifica diventa difficile più avanti fare esercizi più strutturati.


il controllo del tronco d'altra parte emerge come possibilità del bambino di svincolare sia la vista per permettere una esplorazione attiva dell'ambiente, sia gli arti superiori, per fare in modo di poter manipolare gli oggetti (anche come attività bimanuale) senza dover utilizzare gli arti superiori come sostegno: questo implica anche la capacità di trasferire il carico sui due emibacini ma anche dal bacino agli arti inferiori in posizione seduta (es. nei movimenti in avanti, il carico si sposta sui piedi) mentre si osserva qualcosa o mentre si manipola o raggiunge un oggetto: questi, si renderà conto, sono anche prerequisiti del cammino.


come credo avrà capito, non esiste "il problema degli occhi" o "il problema del tronco": essendo tutto un sistema con problemi di organizzazione, bisognerebbe vedere il bambino nel suo complesso per poter effettivamente capire da dove partire e come indirizzare il trattamento per evitare l’errore di segmentare il bambino con risultati riabilitativi piuttosto scadenti. Auguri per il bimbo.

lunedì 23 febbraio 2009

Della riabilitazione e dell'essere terapista - articolo per "Zeus"

mi era stato chiesto di scrivere un articolo per "Zeus", free press di Ostia, all'interno di un'inchiesta sulla riabilitazione, le liste d'attesa, ecc.
l'inchiesta è stata pubblicata, e l'articolo è questo:

Della riabilitazione e dell'essere terapista

Spesso mi chiedo perché ho scelto di essere una terapista. Avrei potuto scegliere tante altre strade, pur seguendo la mia indole, e andare incontro al prossimo in altro modo eppure, per una serie di motivi e di casualità, mi ritrovo oggi ad essere quello che sono, e di occuparmi nello specifico di riabilitazione dei disturbi neurologici dei bambini.

Ho incontrato in questi anni e continuo ad incontrare ogni giorno bambini con le più svariate patologie, di età che vanno dal neonato al preadolescente, e ad ogni livello di gravità; famiglie di tutti i tipi, dal genitore solo con bambino, alla famiglia allargata; e di tutti i livelli socioculturali. Queste famiglie hanno qualcosa in comune, e cioè la vita con la disabilità, ed è stato anche il venire a contatto con queste persone che ha fatto di me la terapista che sono oggi.

Quando arrivano a me, alcuni, se non quasi tutti, dei genitori che incontro sono già passati per molte delle tappe di ricerca di soluzioni risolutive; dalla diagnosi buttata lì senza spiegazioni, senza aiuto, senza sostegno; passando per l'incontro con i medici e terapisti del servizio sanitario nazionale; fino ai tentativi più disparati di fare qualcosa che aggiusti il problema, comprese terapie da 20 ore al giorno e viaggi oltreoceano dove viene proposto null'altro che le stesse identiche cose che si fanno qui, ma fatte per lo più molto peggio (ma lì sono a pagamento, quindi necessariamente devono essere meglio).

Queste famiglie sono spesso distrutte dalla medicalizzazione.

Dalla diagnosi, a volte difficile e comunicata in modo poco attento e rispettoso dei sentimenti della famiglia, fino ai tentativi, riusciti o (molto più spesso) meno, di riaggiustare dove è rotto, questi bambini sono disumanizzati, deprivati della loro complessità, ridotti a macchine da riparare, dove ogni specialista stacca il suo pezzo, lo tratta e lo riattacca come se questo fosse sufficiente e garantisse un recupero qualitativo.

Bambini disgregati, privati della loro unitarietà di persone, della loro capacità, seppur diversa, seppur al primo approccio non immediatamente comprensibile, di pensiero, e relegati ad essere meri esecutori di ordini, gesti, posture, movimenti ripetitivi; dove i tentativi di ribellarsi ad un'ottica che li vede come un semplice insieme di riflessi, nel tentativo di comunicare il sacrosanto disagio, vengono non solo ignorati del tutto, ma liquidati con un è svogliato... non ha volontà, colpevolizzando il paziente (che spesso non può comprendere l'insulto e che quindi non può rispondere), anche se il bambino ha 13 mesi, anche se ha una grave patologia, anche se di un bambino sano che non ha voglia di fare qualcosa che gli crea dolore, disagio, o anche solo noia, nessuno si sognerebbe mai di mettere in discussione la voglia, per di più dandogliene la colpa. Semmai (giustamente) si dà la colpa al docente che non è capace; in riabilitazione accade assolutamente il contrario.

In quest'ottica si cerca sempre di più, dove il “di più” è sempre di tipo quantitativo (più ore, più terapia, più terapie) e praticamente mai qualitativo, nonostante gli ultimi studi di neuroscienze confermino come l'esperienza abnorme alteri le sinapsi creando disorganizzazione a livello neuronale e facendo emergere comportamenti maladattativi (cosa che non si verifica invece in assenza di esperienza... il che in soldoni significa che una cattiva riabilitazione è molto peggio di nessuna riabilitazione).

Questi genitori si sentono in colpa, perché signora, la colpa è sua che non fa questo questo e questo, ecco perché il bambino non migliora: un atteggiamento intellettualmente disonesto, perché accusa chi non ha colpe, di una propria responsabilità, ovvero il non poter o più spesso il non essere in grado di aiutare il paziente, nonostante il ruolo terapeutico che si dovrebbe ricoprire.

Questi genitori non sono aiutati nel saper guardare i loro figli come dei bambini con necessità conoscitive, poiché questi figli sono sempre stati presentati solo come quello che non sa fare, il punteggio che ha ottenuto nella scala di valutazione X, la patologia Y, quello che non potrà, quello che non farà.

Sempre più spesso la riabilitazione si riduce a procedure di tipo medico più che riabilitativo con finalità e scopi che non vengono condivisi con il bambino stesso (altrimenti perché mai dovremmo sostenere che un bambino in terapia, se piange alle mobilizzazioni cruente è normale?); dove la terapia sembrerebbe servire non tanto al bambino, per permettergli una maggiore conoscenza del mondo e di sé, una maggiore consapevolezza ed una migliore capacità di relazione (e quindi, per renderlo una persona più felice), quanto ad occuparlo in qualche modo, a farlo semplicemente muovere, purché si muova!, dove per anni viene ripetuto lo stesso movimento, nello stesso modo, uguale per tutti, e così via da decenni.

La differenza tra fare il terapista ed essere terapista è tutta lì: nell'incontro con il bambino, entrare nel suo mondo al suo stesso livello, sapendo di incontrare un essere unico, di essere di fronte a qualcuno di irripetibile, con le sue difficoltà ma anche con le sue possibilità da tramutare in capacità con l'aiuto della mediazione terapeutica, di modo che la terapia tiri fuori il meglio che questi bambini possono essere, lavorando su quella che Vygotskij chiamava area di sviluppo potenziale, e non il peggio, con pianti, urla, strilli, apatia.

E' necessario stabilire obiettivi precisi, che tutti possano valutare nella vita quotidiana (l'obiettivo effettua la flesso estensione del gomito non serve a niente, se la flesso estensione non viene utilizzata per fare una carezza alla mamma, prendere un gioco, andare a toccare un gatto per sentire com'è peloso), e specificare come si intende raggiungerli ed in quali tempi.

Non si può fare i terapisti. Bisogna esserlo, e per essere terapisti occorre costruire un'interazione assolutamente specifica, ed esercizi che vanno bene non per la tetraparesi, non per il livello di sviluppo tal dei tali, ma solo ed esclusivamente per Livia, per Michele, per Tiziano, per Flavio. Perché se si vuole curare la persona, e non la malattia, la riabilitazione deve passare dall'essere un problema medico, ad essere un problema etico. Perché dietro ad ogni approccio c'è una visione dell'Uomo: se la visione generale è di stampo meccanicistico, dove la persona non è più persona, ma numero, patologia, assenza di capacità, questo è un problema riguarda tutti, e non solo chi ha avuto in dono dalla sorte un bambino speciale.

Fabiana Rosa

Ass. Cult. Progetto Riabilitazione - Roma

diariodiunaterapista.blogspot.com