lunedì 21 febbraio 2011

la mamma chiede: con una lassità legamentosa, vanno bene i tutori?

Buona sera sono la mamma di Giulia una bambina di 28 mesi .Alla nascita tutto ok per i primi sei mesi altrettanto, poi mi sono resa conto che non riusciva a tenere la posizione seduta mi andava in avanti come una (pera cotta) così sono iniziate tutte una serie di indagini che a tutt'oggi non ci hanno portato a nessuna diagnosi ;fra una settimana faremo anche la biopsia muscolare.La bambina svolge sedute di fisioterapia 2 volte a settimana 1 psicomotricità.Sicuramente ha fatto notevoli progressi attualmente gattona e si tira su in piedi con appoggio anteriore sia da seduta che dalla posizione in ginocchio.

Quello che è sempre emerso ovvero ipotonia e lassità soprattutto arti inferiori continuano a persistere ma adesso ciò che mi preoccupa è la lassità poichè andando in piedi manda la caviglia in dentro e ginocchi in estensione.Su consiglio fisioterapista abbiamo fatto tutori gamba piede con plantarino su misura su calco, ma non ne sono molto convinta vedendo che quando li usa non migliorano i suoi problemi anzi.... Quando vuole passare in posizione eretta dalla posizione in ginocchio mette il piede correttamente per fare carico ma non ci riesce, invece senza tutori riesce a tirarsi su bene.Sembra che il movimento della caviglia-tibia con il tutore venga completamente bloccato ed inoltre sempre con tutori accentua la posizione di apertura a w tipica della lassità.Vorrei capire se faccio bene a tenergli i tutori o rischio di più di aumentare la flessione dei ginocchi indietro con rischio di lussazione anca. Nei prossimi giorni grazie ad una osteopata-fisiatra di Roma avremmo anche altre valutazioni oltre quelle della mia zona.Tutto questo per chiederle gentilmente un suo parere e se ha avuto nella sua esperienza casi simili soprattutto di lassità.
 
Diciamo che con una lassità il pericolo non è tanto la lussazione dell'anca, che di solito si verifica quando c'è il problema opposto (ipertono degli adduttori), quanto le deformazioni a carico di caviglia e piede (crollo della volta plantare, ecc.) e del ginocchio. Ora, io non posso dirle se e quanto dovrebbe tenere i tutori senza vederla (in generale io sono molto poco invasiva, e probabilmente opterei per qualcosa di meno "bloccante" parallelamente ad una buona riabilitazione), ma probabilmente se non le permette di fare quello che riesce a fare senza, e per di più ne accentua le posizioni non corrette, non sono la soluzione.
Premesso che in questi casi bisoga ovviamente preservare l'articolazione con un supporto che mantenga in posizione la caviglia (forse un plantare a elica con una scarpa un pò alta, senza arrivare ad un tutore gamba piede che non la fa muovere?), non è il tutore che eviterà i danni, o almeno sarà davvero molto, molto difficile che bloccare completamente un'articolazione eviti di per sè le deformità (anche perchè poi causa anche altri compensi): sarebbe meglio ad ogni modo cominciare un percorso per aiutare la bimba a sentire il corpo in modo diverso.
Si potrebbero provare esercizi per aiutare la bimba a differenziare le diverse parti del piede nei diversi compiti conoscitivi, prima da seduta e poi in piedi (al momento in stazione eretta c'è il compenso del recurvato del ginocchio, quindi forse sarebbe meglio cominciare da seduta).
Per l'eventuale crollo della volta plantare, in futuro, le assicuro che gli interventi chirurgici fanno miracoli e riportano l'articolazione in posizione, ma le consiglio comunque di far fare esercizi alla bimba per cercare di prevenire questa eventualità se possibile, e prima ancora una valutazione (mi contatti se vuole, le dò un contatto nella sua zona dove andare) della bimba e non solo "delle sue gambe", per poterla aiutare al meglio.

giovedì 10 febbraio 2011

il terapista chiede: come si imposta un trattamento?

Buongiorno,

sono un giovane laureato in fisioterapia che ha iniziato da poco il suo percorso lavorativo in un centro di Riabilitazione.

Ho avuto modo in queste ore di navigare sul suo blog, lo trovo molto interessante e ricco di contenuti; vista la sua grande esperienza volevo chiederle un aiuto in vista di un trattamento che per me ha il sapore della novità, dal momento che durante l’iter universitario non ho avuto modo di confrontarmi con patologie del genere.

Mi è stato riferito che da lunedì mi saranno affidati due pazienti con tetraparesi spastica, entrambi sui 15-16 anni (uno di sesso maschile ed uno di sesso femminile), che hanno già alle spalle anni di trattamenti (pare che entrambi deambulino con deambulatore+ascellari) e che erano seguiti dalla collega che sto sostituendo.

Non nascondo che in questa attesa sono un po ansioso e sto cercando di documentarmi il più possibile per cercare di fornire a questi ragazzi tutto il mio aiuto, la mia competenza e il mio sostegno.

Volevo chiederle qual è secondo lei la maniera migliore di impostare il trattamento (so bene che non esistono degli schemi precisi e che ogni paziente è diverso dall’altro ma in generale la linea di condotta da seguire) e quali sono gli esercizi più utili al fine di garantire un trattamento completo e di buona qualità.

La ringrazio anticipatamente della sua disponibilità e le porgo i miei saluti.
 
 
Credo che l'errore più grande che possa fare un terapista nell'approcciarsi ad un paziente (ortopedico, neurologico, adulto o bambino) sia cercare di partire dall'esercizio. La costruzione della Cartella Riabilitativa è uno strumento di lavoro meraviglioso che ci consente di arrivare all'esercizio per non incappare in errori grossolani (tipo: ha una tetrapaesi, e quindi deve fare questi esercizi...). Un trattamento va impostato:
 
- Valutazione: va fatta sulla base della teoria su cui ti appoggi e sulla base della conoscenza della patologia. Non va analizzato tanto quello che si vede (non serve andare da un terapista per sapere che si ha un figlio che cammina in punta), ma quali sono le funzioni alterate, ed in che modo, come il paziente ragiona, come parla, come usa l'immagine motoria, come si muove, come si modifica in base alle richieste che fai; attraverso quali facilitazioni, se verbali, manuali, o altro. Bisogna interpretare la patologia non solamente descrivere quello che si vede! E se la lesione è maggiore a sinistra ci si aspettano delle cose, se è maggiore a destra delle altre... non compiere l'errore madornale di liquidare il paziente con un "è spastico" o con un "cammina con intrarotazione": significa non rispettare la persona e regarla alla sua patologia, oltre che non aiutarla affatto.
 
- Impostazione delle modifiche a medio-lungo termine: cosa penso di poter ottenere in un lasso di tempo massimo di 8-10 mesi (per i bambini), una modifica che deve essere verificabile, non "miglioramento del controllo del tronco" (che non vuol dire niente) ma "sta seduto long sitting con appoggio per almeno 30 secondi mentre l'adulto parla senza cadere di lato e senza flessione delle ginocchia" (è un esempio, ma bisogna trovare degli obiettivi per TUTTI i pazienti, gravi, meno gravi, piccoli e grandi: altrimenti non siamo terapisti, ma altro).
 
- Impostazione degli obiettivi (ovvero modifiche a breve termine: da 2 settimane a 2 mesi circa): stessa cosa delle modifiche, valgono le stesse regole.
 
- Individuazione degli esercizi che serviranno a raggiungere gli obiettivi: indicare esattamente quali
 
- Impostazione delle modalità con cui tali esercizi dovranno essere fatti: per ogni esercizio, come deve essere messo il bambino, che tipo di sussidio va usato, dove questo va posizionato, qual'è esattamente la richiesta che viene fatta al bimbo, e cosa si deve osservare nel corso dell'esercizio per capire che questo è adeguato.
 
- Chiarificazione dei contenuti di ciascun esercizio: qual'è la strategia che si vuole insegnare al bambino (alteranza dello sguardo? controllo della RAAS? controllo dell'irradiazione? e via dicendo).
 
In questo modo si imposta un trattamento. Tutto il resto (valutazioni dove c'è scritto "non rotola, non striscia, cammina in punta", obbiettivi tipo "miglioramento del cammino" o altre baggianate), lo possiamo lasciare tranquillamente a gente che di mestiere non si occupa di riabilitazione.
 
Detto questo, è ovvio che non posso dirti quali esercizi possano essere validi per questi due pazienti: dovrei avere molte più informazioni per poterti consigliare, ma sicuramente se li osservi secondo questo tipo di approccio potrai essere in grado quantomeno di non nuocere e di metterti in gioco pensando che essere un terapista significa avere delle grandi responsabilità sulla qualità di vita dei pazienti.

mercoledì 9 febbraio 2011

la terapista occupazionale chiede: con una tetraparesi può usare il braccio più colpito per appoggiarsi?

Salve,

sono una Terapista Occupazionale e ho in carico un bambino con Tetraparesi spastica con distonia focale alla mano sx che è prona ed extraruotata . L’ arto sup. dx è funzionale. Stiamo cercando strategie, soluzioni perché lui possa andare in bagno da solo. In casa Si sposta gattonando , ha un corrimano che utilizza poco. HA un deambulatore anch’ esso poco utilizzato, grucce che non utilizza. Il bagno lo hanno già adattato ma ora così non va più bene. Con appoggio riesce a stare in piedi , solamente che se usa mano dx per tenersi con l’ altra non riesce a abbassarsi pantaloni e mutande.

Mi chiedevo se c’ erano posizioni che permettano alla mano sx di essere controllata di più e che sia funzionale anche solo per far sì che possa reggersi piedi. Ha qualche consigli da darmi ? O su quela mano non possiamo fare AFFIDAMENTO?

Il bambino è riuscito a fissarsi per un quarto d’ ora con la mano sx ad un maniglione mentre si è abbassato pantaloni e mutande ed è stato bravissimo, non le dico che lago di sudore..ma in quella occasione ha detto di avere il braccio molto rilassato.

Grazie in anticipo

Buona serata

Maria Giovanna
 
 
Se il bambino era "in un lago di sudore" e affermava di avere il "braccio molto rilassato", c'è ovviamente un'incoerenza di fondo: in sostanza il bambino dice quello che gli adulti vogliono sentirgli dire, visto che tutti continueranno a dirgli "stai rilassato! rilassa il braccio!" o cose simili (se bastasse dirglielo, credo proprio che non avrebbe bisogno di terapia); inoltre in una compromissione maggiore a sinistra sono abbastanza tipiche le difficoltà nel mantenimento della coerenza. Come terapista, devo dirti una cosa che disse a me il mio più grande insegnante (ed ora collega, visto che lavoriamo insieme) quasi 10 anni fa: non devi guardare una persona con una lesione cerebrale come se pensasse come te. Lo devi guardare come se fosse un alieno. Questo non ha nulla a che fare con le discriminazioni (per evitare fraintendimenti), ma significa che sei TU come terapista che devi cercare di capire come quella persona pensa, come vive il corpo, e non il contrario. Per lui "rilassato" non vuol dire assolutamente nulla, perchè non ha neanche mai provato cosa significa "rilassato"... e infatti dice "rilassato" ed è in un bagno di sudore dallo sforzo muscolare, che significa CONTRAZIONE, che è il contrario di "rilassato": è evidente che c'è una contraddizione e quindi un errore nella valutazione e interpretazione dei comportamenti visto che l'osservazione in prima persona -quello che dice il paziente- ed in terza -quello che vedo come terapista- NON coincidono assolutamente. L'errore ovviamente non può essere del bambino (non è ammissibile l'atteggiamento purtroppo diffusissimo del "e allora lo vedi  VUOI ce la fai?" come se fosse colpa del bimbo), ma probabilmente la richiesta non è adeguata.
E' dunque assai improbabile che un approccio come quello che sta provando (dove debba utilizzare l'arto, per di più in stazione eretta mentre con l'altro arto fa qualcos'altro!!) riesca a modificare qualcosa a livello di tono: dovrebbe cominciare a lavorare in posizione seduta, se non addirittura supina, con esercizi di primo grado, per fargli scoprire che si può percepire l'arto in un modo diverso da quello in cui l'ha sempre percepito. Ricordarsi sempre: il problema non è MAI il muscolo, il braccio, la flessione o l'estensione, ma nella percezione, nell'attenzione, nella capacità di organizzarsi, e sono questi i processi da riabilitare, tirarsi su i pantaloni deve essere una conseguenza... non il punto di partenza.

la mamma chiede: ha una diplegia, quanto recupererà?

Gent.ma,

ho letto con attenzione le sue risposte e vorrei sottoporle anch'io qualche quesito.

Ho un bimbo di 19 mesi (un altro di 5 anni) al quale è stata da poco diagnosticata una forma diplegica lieve (nessun segnale, nessun problema in gravidanza, nato con cesareo programmato senza problemi, Indice di Apgar 8 e 9, bimbo sveglio e interarattivo, lallazione per me normale, dice mamma molto bene e poco altro). Siamo solo all'inizio del percorso (un paio di incontri con la fisioterapista per creare la relazione più che altro, visto che il bimbo è piuttosto diffidente di natura ... secondo la fisioterapista ... normale nei "diplegici", per me normale per molti bambini ... comunque) e dobbiamo ancora inziare con scarpe, plantari, tutori, ecc. ma vorrei una sua opinione ....

Dovremo fare anche la visita dal neuropsichiatra e probabilmente la risonanza ..

Il bimbo faceva il "passo del leopardo attorno ai 10/12 mesi, da 14 gattona e adesso va come un razzo gattonando, sempre dai 14 mesi si alza in piedi appoggiandosi a qualsiasi cosa gli capiti pur stando sulle punte se non dopo un breve tempo in piedi quando riesce a ad appoggiare anche i talloni, soprattutto il destro.

Secondo lei quali sono i tempi per il cammino autonomo? La fisiatra mi ha parlato un recupero attorno al 98%, cosa significa? Avrà dolori in futuro? Come possiamo aiutarlo ulterioremente? Abbiamo iniziato con massaggi e stiramenti dei muscoli ... ho sentito parlare anche dell'ippoterapia come utile ....

Sono probabili anche altri problemi di tipo cognitivo, linguistico, ecc.? Il pediatra e anche le insegnanti del nido non avano compreso il problema e mi hanno sempre parlato di un bimbo sveglio e intelligente ... possibile che nessuno abbia intuito qualcosa?

La ringrazio fin da ora per la disponibilità e la risposta!

UN caro saluto.

Deborah

Andando per ordine: quali sono i tempi per un cammino autonomo non posso dirlo, anche se per certo camminerà (i bimbi diplegici, a meno che non vengano presi a mazzate -sul piano riabilitativo- camminano tutti). Per questo il parametro "recupero al 98%" è una baggianata: camminerà e sarà autonomo, ma Il problema è COME camminerà: posso essere autonomo anche strisciando a terra (per fare un esempio), ma di certo non posso definire il mio spostamento "cammino". E le posso dire che con ogni probabilità, prima viene fatto camminare (in assenza di esperienze adeguate) e peggio cammnerà, per un motivo semplicissimo: perchè il bimbo deve prima costruire dei prerequisiti di un cammino qualitativo attraverso esperienze corrette, piuttosto che organizzarsi sulla patologia (stazione eretta in equino che si modifica per gravità -quando lei dice che riesce poi ad appoggiare il tallone- e non per costruzione di informazioni tattili-pressorie-cinestesiche). Al momento la stazione eretta viene mantenuta con appoggio e compensi (equino), sicuramente sarebbe auspicabile una stazione eretta corretta prima del cammino (anche se nella maggior parte degli approcci riabilitativi tradizionali questo non viene tenuto in considerazione, ed i bimbi vengno fatti camminare quando non stanno neanche seduti, con risultati abbastanza scadenti sul piano qualitativo). 

Se ancora non c'è, bisogna lavorare affinchè il bimbo mantenga dapprima una corretta stazione seduta: non so se riesca a mantenere i piedi appoggiati a terra mentre sta seduto e ad esempio gioca, ma se irradia -ovvero se va in punta o addirittura stende le ginocchia mentre sta seduto ed opera con gli arti superiori- anche da seduto, sicuramente va aiutato a prendere consapevolezza di questo ed a modificarsi, prima di pensare ad una stazione eretta o al cammino. Questo NON perchè "lo vogliamo tenere fermo", ma perchè ci sono dei comportamenti che vengono costruiti sulla base di capacità che ne sono prerequisiti. E' dunque assai probabile (anzi, certo) che riesca a camminare anche se mancano dei prerequisiti, ma con compensi che probabilmente si potrebbero evitare (a maggior ragione perchè la diparesi è lieve).

I massaggi e gli allungamenti non sono propriamente quello che consiglierei ad un bimbo con una diplegia: il problema non è nel muscolo, che ovviamente è perfetto, ma in una organizzazione lacunosa delle funzioni causata dalla lesione (che NON è a livello del muscolo). Può fargli massaggi e stiramenti, ma il problema semplicemente non è lì: dovrebbe fare esercizi attraverso i quali il bambino debba imparare a conoscere il corpo (di cui ha un'esperienza alterata), dove lui stesso sia soggetto e non oggetto della riabilitazione (che non significa che debba fare ginnastica attiva e rinforzo muscolare, assolutamente no, ma che faccia esperienze corrette). Sconsiglio caldamente il cavallo: causa un raddrizzamento del tronco per irradiazione e non per organizzazione delle relazioni tra le parti del corpo, più incita il bambino ad addurre gli arti inferiori (che è uno dei problemi principali per cui i diplegici vengono poi operati alle anche). Non so dirle quali esercizi potrebbe fare il bimbo senza vederlo (non perchè non voglia, ma perchè in questo approccio non si considera la patologia, ma il bambino, e gli esercizi vengono costruiti su di lui), ma sicuramente lo stretching non risolve il problema "a monte", lavorando sull'effetto e non sulla causa.
Per quanto riguarda i problemi cognitivi, non è detto che suo figlio debba presentare un ritardo mentale, anzi, la maggior parte dei bimbi diplegici ha un'intelligenza assolutamente normale, ma tenga presente che il comportamento motorio che lei osserva (il cammino in punta) è causato da un'alterata organizzazione del corpo (il tallone ha un senso conoscitivo nel cammino, che è quello di percepire le diverse consistenze del terreno, e la caviglia di organizzare l'appoggio in base alla pendenza): il bambino non riesce a costruire correttamente le informazioni tattili-cinestesiche-pressorie a qualche livello (non so dirle quale senza vederlo). Tenga presente che i bimbi piccoli imparano attraverso il corpo, e se il corpo è alterato l'apprendimento di altre competenze viene alterato (ad esempio, la spazialità). Questo non significa che il bimbo debba avere un ritardo mentale, ma che il problema motorio è di per sè un problema cognitivo (non a caso già A.R.Lurija nel suo magistrale "Come funziona il cervello" descriveva il movimento all'interno delle funzioni corticali superiori). Il trattamento dovrà essere volto quindi al recupero di quei processi cognitivi la cui alterazione causa il comportamento motorio, per ottenere un recupero qualitativo, e non al comportamento motorio di per sè (ginnastica, stretching, o simili).

Per dirle se avrà un qualche tipo di dolore da grande dovrei avere la boccia di cristallo, direi di affrontare un problema alla volta, altrimenti si perde di vista il bambino mettendo in primo piano solo la sua "diplegia".


















martedì 1 febbraio 2011

Consulenze a Bologna (27-28-29 Febbraio)

Cari Amici,


avrei la possibilità di organizzare una consulenza per fine Febbraio a Bologna centro. I giorni dovrebbero (ma devono essere confermati) essere il 27-28 e 29 Febbraio.

Se riesco a mettere insieme un numero sufficiente di bambini da valutare in tempi rapidi, preparo tutto.

Le famiglie interessate possono chiamarmi (possibilmente presto) al 3474742661

Grazie e a presto!

Fabiana