Ciao,
sono un'insegnante di sostegno al suo primo anno di lavoro: la bimba di cui mi occupo ha la Sindrome di Angelmann,
ha un Q.I. molto basso, non parla, non cammina (non so ancora se per
una questione muscolare o ossea) e una motricità degli arti superiori
molto rozza e stereotipata.
I movimenti più precisi che le ho visto fare sono un tentativo di
accenno al saluto (sporadico e sotto richiesta verbale) e la prensione
del biberon (che poi agita, bagnando se stessa e chi le sta attorno). Se
le metto un oggetto vicino lo afferra e poi lo lancia. Sto provando a
farle capire che deve tenere gli oggetti in mano con dei semplici
esercizi, ma senza risultato.
La prima cosa da dire è che il QI è un tentativo di quantificare qualcosa che NON è quantificabile, come l'intelligenza. Per di più Binet (l' "inventore" del QI) ritrattò in vita il significato della sua scoperta, in quanto stigmatizzante e non corrispondente a verità: a tal proposito, consiglio a chiunque di leggere questo libro di Stephen Jay Gould, in cui si parla proprio del QI e del suo valore "sociale" volto alla creazione di fasce deboli (al momento della sua diffusione, gli uomini di colore) per giustificare talune scelte politico-sociali.
Al di là di questo, è vero che le stereotipie sono un aspetto abbastanza tipico della sindrome di Angelmann, tuttavia non bisogna MAI farsi guidare dalla diagnosi quando si costruiscono delle interazioni (esercizi o attività) per un bambino, quanto dalla sua capacità di modificarsi attraverso la nostra mediazione.
E' un errore strutturale il pensare che sia la RIPETIZIONE a costruire la funzione, oggi sappiamo che il cervello non funziona così: per cui è del tutto inutile fargli prendere degli oggetti "perchè impari a prenderli", così come è inutile far camminare un bambino per insegnargli a camminare. La prensione-manipolazione si costruisce attraverso una serie di prerequisiti, non emerge da un giorno all'altro semplicemente "per prendere", ma per necessità conoscitive.
E' necessario dunque ALMENO che il bambino sia in grado di mantenere la fissazione su un target per un tempo adeguato e di inseguirlo visivamente, oltre che localizzarlo nello spazio e localizzare il suo arto; che alterni lo sguardo tra il suo arto e l'oggetto, sia in grado di guardare la mano che tocca l'oggetto; di voltarsi verso la mano che tocca l'oggetto, sia in grado di esplorare l'oggetto a livello tattile, e via dicendo.
Quindi, farle tenere degli oggetti è impossibile, se non vengono costruiti i prerequisiti, quindi piuttosto che insistere con qualcosa che è palesemente troppo al di sopra di quello che sa fare (dobbiamo lavorare nell'area di sviluppo prossimale di Vygotsky) e che NON è un esercizio quanto la ripetizione di qualcosa che per la bambina non ha senso, io proverei a cominciare a farle SENTIRE le cose, piuttosto che richiederle di prenderle. Utilizzare delle superfici tattile, conducendola senza richiederle movimento attivo, a percepire le differenze: è duro, gratta, è morbido, è liscio, scivola, con materiali diversi e che abbiano colori contrastanti (bianco-nero) per canalizzare l'attenzione. Io metterei il tutto su tavole tattili, facendo dei disegni, come spiegato in questo post (dove viene trattato il piede torto, ma i sussidi sono gli stessi), magari bianco-neri invece che tutti colorati, così da aiutarla ancor di più. Comincerei da lì, dal fargli osservare la sua mano che tocca, che sente, e che lei è la stessa che tocca, la stessa che percepisce sensazioni, la stessa che guarda quello che tocca, in una prospettiva di unitarietà mente-corpo e non di divisione ("ti faccio tenere gli oggetti"). Bisogna dare la possibilità alla bambina di sperimentare che le mani sono fatte per sentire, e non solo per essere agitate senza costrutto. Se si percepisce bene, ci si muove bene, c'è poco da fare. Quando il movimento è alterato ed il problema NON è una patologia periferica, ma centrale, il problema è SEMPRE percettivo, a diversi livelli.
Ricordiamoci che la mano non è l'organo "della presa", ma l'organo DEL TATTO, ed è attraverso il tatto che l'uomo apprende (si vedano i tanti lavori su tatto e linguaggio). Se non percepisce o percepisce in maniera alterata, è ovvio che la bimba non prenda gli oggetti, o non li mantenga in mano, in fondo perchè dovrebbe?
Per cui dobbiamo imparare a spostare l'attenzione dal "non prende" al "non guarda, non percepisce bene, non sta attenta al tale e tal altro tipo di informazioni", e cioè a quali sono i processi cognitivi deficitari, e a quale livelli (e infatti è per questo che il QI non ci serve a niente, non ci aiuta in nessun modo a capire quali sono le lacune, a quale livello, nè come fare per colmarle, ma intanto ha stigmatizzato il bambino come "non normale"). Solo in questo modo secondo me si può aiutare un bambino: tentare di "fargli fare" delle cose è un approccio fallimentare perchè bisogna dare a mio avviso al bambino stesso delle nuove necessità conoscitive che facciano emergere quei comportamenti, e non "addestrarlo" a fare qualcosa come se fosse una necessità nostra. La riabilitazione, così come la didattica, deve essere per il bambino e non sul bambino.
Allo stesso modo, la bimba non cammina NON perchè abbia un qualche problema osteoarticolare o muscolare (al di là di una possibile lassità legamentosa che però non inficia di per sè la "capacità" di camminare), ma perchè sono assenti i prerequisiti cognitivi del cammino, sui quali è necessario lavorare, per far emergere la proprietà-cammino (e prima ancora le altre competenze necessarie).
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