mercoledì 22 ottobre 2008

la differenza.

mi chiedono in molti, quali siano le reali differenze tra l'approccio dell'ETC, e l'approccio "standard", che viene chiamato anche neuromotorio (anche se di neuro ormai a dire la verità ha ben poco).
potrei scrivere molto e citare gli studi più aggiornati di neuroscienze, ma sinceramente oggi per tutta una serie di ragioni non ne ho molta voglia.
poichè considero l'ETC un approccio non solo riabilitativo ma come un approccio ETICO al bambino, alla persona e alla vita, oggi voglio raccontare quello che vedo come persona, e non solo come terapista, nei genitori che ho incontrato in questi anni e che hanno adottato questo tipo di approccio. in sostanza: cosa insegna, l'ETC?

con un approccio di questo tipo si può imparare ad osservare il proprio bambino, a capire le cause dei suoi comportamenti e ad interagire con lui nel modo più corretto per promuovere in lui un comportamento diverso.

si impara a scontrarsi duramente con le reali difficoltà del proprio figlio, molto più che in un approccio di tipo tradizionale, ma si impara anche che comprendere è il primo passo per aiutare.

si impara che la continua domanda "quando cammina?" è non solo inutile, ma controproducente perchè non permette di valutare ed osservare i progressi che vengono fatti giorno per giorno, e di conseguenza non permette di aiutare il bambino a fare quello che deve saper fare ora.

si impara a commentare "oggi si è guardato la mano a lungo mentre toccava un gioco, e poi mi ha guardato sorridendo", e non più semplicemente "prende un oggetto".

si impara che la domanda da porsi non è più "cosa non sa fare?" ma "se lo aiuto in un certo modo, cosa fa in più? e come lo fa?".

si impara a non giudicare dalle apparenze: la gravità non è un indice prognostico attendibile per definire cosa potrà o non potrà fare il bambino.

si impara a non lasciarsi sopraffare dalla disperazione, a non trattare il proprio bambino come qualcosa da aggiustare perchè si è rotto, a non lasciar travolgere la propria vita e la propria casa dalla patologia.

si impara che si può essere ancora una famiglia, con una casa che è una casa e non una palestra, perchè quello che prima ci sembrava insopportabile, in realtà può essere una grande lezione di vita.

si impara a guardare quello che c'è "sotto" e "dietro" il comportamento: in questo modo non si attribuiscono colpe a nessuno, ma si anzi si cerca insieme una soluzione, che purtroppo non è mai semplice come "gli cambio il pezzo", ma sicuramente è più sana.

si impara che non tutti i bambini sono uguali: anzi sono tutti diversi, e hanno bisogno di esercizi diversi, di suggerimenti diversi, di aiuti diversi: non esiste l'esercizio che va bene per tutti.

si impara che la terapia non è fatta per far felice il genitore, ma per aiutare il bambino a scoprire nuovi modi per relazionarsi con il mondo: è per questo che scarrozzare il proprio figlio da chiunque purchè lo "metta a posto", a qualunque costo è non solo controproducente per il bambino, ma dannoso per la famiglia, ed a cercare qualcuno che lo aggiusti si rimarrà comunque sempre delusi.

si impara che il bambino va rispettato. nei tempi, nei bisogni, nelle esigenze, nella conoscenza.
si impara che è proprio come un bambino sano: a forzare si ottiene l'effetto contrario.

si impara che il bambino è un bambino, non è una patologia, non è un insieme di riflessi, non è qualcosa che sta lì per essere come lo voleva la mamma. lui è una persona speciale, unica. ed unico deve essere il trattamento che lo aiuti realmente a conoscere il suo corpo, gli altri, la vita.

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