domenica 21 settembre 2008

lettera al Dottor Cerioli

mi è stato segnalato il blog del Dottor Cerioli, leggendolo mi sono venute in mente alcune riflessioni, e gli ho scritto una e-mail, che vi pubblico, eccola qua:

Gentile dottor Cerioli,
ho letto per la prima volta il suo blog pochissimo tempo fa, segnalato da una mamma su un forum di genitori di bambini con disabilità in cui intervengo spesso su tematiche inerenti la riabilitazione infantile. mi presento, ho 28 anni e da cinque sono laureata in fisioterapia. di solito non dico mai di essere una "fisioterapista", perchè il mio lavoro ha ben poco a che vedere con quello del fisioterapista diciamo classico, in quanto mi occupo di riabilitazione neurocognitiva in età evolutiva, ma il mio titolo è quello.
ho letto alcuni interventi sul suo blog da parte di alcuni genitori, in cui -come sempre accade- ci si interroga sulla validità/utilità o meno di alcune soluzioni (chiamiamole per ora così) proposte nell'ambito della riabilitazione.
vengo subito (si fa per dire) al punto della questione, esponendole la mia opinione, maturata in questi cinque anni di lavoro e studio, e tre di università.

come lei sa, ormai le neuroscienze sono concordi nel ritenere l'esperienza del bambino un'esperienza di tipo soggettivo dalla quale emergono comportamenti e funzioni in relazione a scopi conoscitivi via via più complessi, a partire dalla primissima infanzia, in un processo in cui il bambino stesso costruisce, a vari livelli, interazioni con l'adulto: attraverso queste ultime, è possibile per lui costruire la propria coscienza fin dalla nascita (mi riferisco qui agli studi di Daniel Stern, che lei ovviamente conoscerà).
è evidente come quindi costrutti del tipo bambino= tabula rasa, bambino= vaso da riempire e similari siano più che superati.
allo stesso modo è evidente come una lesione a livello del sistema nervoso centrale non vada ad inficiare una funzione specifica, bensì la rete di relazioni tra le diverse parti che costituisce per l'appunto l'emergere dei comportamenti. è questo che in fondo ci differenzia da un aspirapolvere o da una lavatrice: l'uomo è un sistema complesso che non è la somma di più parti, bensì la rete di interrelazioni che le diverse parti costituiscono, ed è per questo che mentre la lavatrice si riaggiusta semplicemente staccando il pezzo rotto e cambiandolo, nell'uomo la situazione è ben più complessa, e semplicemente aggiustare la parte e riattaccarla di conseguenza non funziona, prova ne sono le migliaia di bambini che fanno due, tre volte lo stesso intervento di chirurgia ortopedica, e i milioni di bambini che si avvalgono di una terapia settoriale in cui il bambino stesso viene smantellato in più parti, ognuna trattata da uno "specialista", e quindi le funzioni cognitive le tratta lo psicologo, il motorio il fisioterapista, la parte relazionale lo psicomotricista, le autonomie il terapista occupazionale, il linguaggio il logopedista, il sistema visivo l'ortottista, ecc. senza tener conto che il bambino è uno, e non è possibile trattare una parte settorialmente senza tenere in considerazione per l'appunto le relazioni che il bambino crea o non riesce a creare.
questo tipo di approccio, che spesso a torto viene definito "globale", ma che in realtà altro non è che lo spezzettamento del bambino ed il trattamento delle singole parti (e che quindi di sistemico ha ben poco), è a dir poco obsoleto.
continuo a vedere bambini che vengono fatti strisciare e gattonare ad oltranza, per anni (e si figuri, ne ho uno in trattamento da circa un anno, che cammina e corre, ma che nonostante questo veniva fatto strisciare per decine e decine di metri) nonostante sia ormai chiaro che NON E' VERO che l'ontogenesi ripercorre la filogenesi (e non lo dico io, lo dicono le neuroscienze), e che lo striscio ed il gattonamento non sono prerequisiti di nulla, ma che le varie tappe (controllo del capo, stazione seduta long sitting, seduta sul panchetto, stazione eretta) emergono invece da necessità conoscitive diverse: il bambino piccolo sano impara a tenere il capo per svincolare lo sguardo ed osservare l'ambiente e relazionarsi meglio con l'adulto, impara a tenere il tronco per liberare gli arti superiori per manipolare gli oggetti, e non per un qualche immaginario riflesso o aggiustamento posturale, e per i bambini con patologia è lo stesso: semplicemente bisogna che siano guidati attraverso una corretta mediazione.
questi bambini invece vengono a mio parere deprivati della loro complessità, disumanizzati ed invece reincasellati nella vecchia, superata, orrenda metafora uomo-macchina, che ci ha portato agli errori/orrori metodologici che vediamo tutti i giorni.

nonostante le neuroscienze ci dicano tutt'altro, continuano infatti a venire perpetrati modelli riabilitativi dove l'adulto agisce sul bambino, che passivamente riceve informazioni di qualche tipo (spesso grossolane o quantitativamente sovrabbondanti ma senza nessuna specificità nè richiesta di attenzione da parte del bambino). ad oggi, che sono almeno trent'anni che sappiamo che la percezione è un processo attivo, che è il diverso utilizzo dei processi cognitivi che modifica il recupero (così come allo stesso modo modifica l'apprendimento nel sano), che non si può agire blandamente sul muscolo se il problema non è nel muscolo, ebbene, continuano a venire proposte soluzioni semplici per problemi che semplici non sono. e qui mi riferisco ai vari macchinari, che forzano il paziente in una posizione che svincolata da un qualsiasi processo conoscitivo difficilmente verrà poi riportata in altri contesti (ma che spesso ha la capacità di traumatizzare il paziente), alle varie inoculazioni di tossine e altri tipi di agenti, ai tutori a tutto spiano, che deprivano sensorialmente aree già lacunose nella raccolta informativa, anche e soprattutto laddove si potrebbero evitare con una buona riabilitazione che tenga conto non solo di aspetti meramente fenomenici (atteggiamenti del tipo il piede è equino, lo metto dritto, problema risolto)... magari fosse così semplice.
mi riferisco anche alle riabilitazioni obsolete, ai modelli ormai non più supportati da nessuno studio, ma anzi confutati, che considerano il movimento come un riflesso, spingo il bottone e parte la gamba. e l'atteggiamento generale è il classico "funziona!" americano, per quelle rare volte in cui il bambino riesce ad organizzare qualcosa -spesso per recupero spontaneo e comunque di solito scarsamente qualitativo- nonostante poi gli studi parlino chiaro: non è così che va.
in un qualsiasi laboratorio, se un risultato non è supportato da un riscontro, si cercano le altre variabili che hanno portato al risultato. nella riabilitazione (che ovviamente, messa così, a questo punto non può essere neanche lontanamente considerata una scienza), si riesce solo a dire, se migliora "è la terapia", se non migliora, o anche peggiora -come spesso accade- "è la patologia". nessuno si prende le proprie responsabilità, anche se ce ne sono, eccome.

io rimango ogni giorno sconcertata. so che ci sono diversi interessi in gioco, non c'è bisogno che ne parliamo.
però ho bisogno di sapere che l'onestà intellettuale non è persa del tutto, e che è possibile una riabilitazione che abbia un senso. per favore, mi dia una sua opinione.

grazie,
Fabiana Rosa
Riabilitatore Neurocognitivo

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